dieci anni fa due post che ho considerato un passaggio fondamentale per ridefinire la mia visione del mondo e dell’essere umano.
li ripubblico fondendoli in uno solo, con aggiustamenti solo piccoli.
so che, per la lunghezza, ne va di mezzo la leggibilita`, che pure era gia` limitata quando erano separati.
tuttavia ripubblicarli oggi per me e` fondamentale: avevo mentalmente accantonato soprattutto il secondo.
eppure qui dentro c’e` un accenno che prova a dare una risposta davvero fondamentale alla domanda che cos’e` il tempo, che io stesso per troppo TEMPO ho dimenticato.
la realta e` irregolare: una irregolarita` che il nostro cervello non accetta.
il nostro cervello e` troppo semplice per poter recepire analiticamente questa realta` cosi` differenziata.
e dunque e` portato a pensare che – se delle irregolarita` appaiono – questo sia il frutto di un movimento che agita l’immagine, come fosse una tovaglia mossa da un vento leggero o da qualcuno che si muove li` dietro.
potrebbe essere per un fatto analogo che l’uomo percepisce il tempo; e` infatti un difetto percettivo e di funzionamento del cervello di questo genere che fa apparire in movimento (cioe` colloca nel tempo) una immagine che in realta` e` atemporale, ma molto complessa e irregolare.
insomma, il tempo altro non e` che il nostro modo di organizzare le irregolarita` dell’eterno presente per poterle percepire.
in questi giorni sto leggendo sull’argomento il fisico Carlo Rovelli: presto dovro` tornare sull’argomento alla luce delle sue riflessioni.
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le due stesure originali, un poco piu` ampie, si trovano qui. assieme ai commenti che qui ho quasi completamente trascurato:
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- come ci inganna la mente.
qualche giorno fa da Luckyblu ho ricevuto un link ad un sito affascinante e questa immagine, con la domanda: “E se il nostro cervello ci ingannasse continuamente?”, o meglio: se la nostra mente ci ingannasse continuamente?
ma questa non e` affatto una domanda provocatoria, e` una certezza.
guardate l’immagine:
immagine? eh no, questo e` un piccolo film che non fisce mai, Bortocal!
quelle specie di cerchi si muovono, guardali bene: stanno lentamente ruotando.
eh no, lettori, questa e` una immagine, immobile: e` la vostra mente che vi vede un movimento – che non c’e`.
nessun dubbio, dunque, che la nostra mente ha la capacita` di ingannarci.
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i link datimi da quella prodigiosa scopritrice di miracoli visivi che e` Luckyblu stanno qui sotto e vi permetteranno di arrivare ai siti sorprendenti e meravigliosi che analizzano questi effetti ottici:
http://cristiancontini.blogspot.com/2005/05/i-serpenti-rotanti-di-mr-akiyoshi.html
http://www.ritsumei.ac.jp/~akitaoka/index-e.html
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2. il paradosso della decisione.
una decina di giorni fa la vita reale, sotto forma di un corso di aggiornamento professionale, e la vita virtuale delle letture, sotto forma di un articolo letto in internet da qualche parte, si sono messe d’accordo per venirmi a dire contemporaneamente una cosa molto importante sulla decisione, o – per meglio dire – sull’atto del decidere.
e` una parola definitiva sul funzionamento della nostra mente.
infatti le capacita` di analisi, acquisite negli ultimi anni e applicate al cervello, ci stanno progressivamente rivelando come funziona la nostra mente; e nel caso del processo mentale che chiamiamo “decisione” arrivano a una scoperta veramente sconcertante, che pero` Freud aveva gia` anticipata e intuita.
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cominciamo da una distinzione, che per tanto tempo risultava incomprensibile e che oggi invece, formulata in termini informatici, vi risultera` immediatamente chiara: che differenza c’e` fra mente e cervello?
il mio cervello, il nostro cervello e` l’hardware, il macchinone che in questo momento fruscia qui sotto con una lucina accesa che indica che e` in funzione (quando lampeggia, il cervello sta in standby, forse dorme…).
la nostra mente, invece, e` un software, un programma.
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– fermi tutti: ci stai dicendo, Bortocal, che quindi la nostra mente non e` strettamente legata al nostro cervello, cioe` alla struttura fisica del nostro corpo?
se la mente e` un software, il software puo` anche girare su computer diversi…
ma allora che differenza c’e` tra il parlare di mente e il parlar di anima?
stiamo ritornando all’idea occidentale della immortalita` dell’io?
tralascio (per ora) questa domanda; spero che qualcuno la raccolga e che ci possa costruire su una riflessione dopo: se la apro qui, il mio post deraglia del tutto, subito.
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– quello che qui mi preme dire e` che, se il cervello e` il computer e la mente il programma di Excel, si capisce subito quante e quali siano le difficolta` di una mente a capirsi: dato che e` come se un programma volesse comprendere dall’interno il suo rapporto col pc, per afferrare come funziona lui stesso.
e` chiaro che per capire il programma occorrerebbe parlare col programmatore; ma il presunto programmatore e` un vecchio fuori di testa che ha trovato urgentissimo parlare direttamente a Mohammed per ordinarci di non mangiare carne di maiale,
oppure – chiamandosi Abramo – ha preferito comandarci di sacrificare il nostro figlio primogenito per dimostrargli la nostra obbedienza,
oppure ancora ci tiene il muso perche` e` convinto che gli abbiamo ammazzato il figlio che ci aveva mandato per spiegarci tutto.
insomma, lasciando perdere i presunti proclami in lingue diverse di questo programmatore impazzito, torniamo alla nostra paradossale situazione di ricercatori che devono capire come funziona un programma senza poter guardare dentro il programma, ma studiando come funziona il computer che lo applica.
e quindi eccoci finalmente al cuore del problema: come funziona il programma informatico che chiamiamo “Decisione” nel computer di marca “Cervello”?
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la decisione: ho davanti a me un problema e devo decidere: apro un foglio Excel, inserisco una formula di calcolo, clicco col mouse e mi esce il risultato, che a questo punto sara` la mia “decisione”.
semplice, no? tutti sappiamo come decidiamo, che cosa c’e` da capire di piu`?
e invece non funziona cosi`.
lo studio delle correnti cerebrali, condotto da Kornhuber gia` qualche decina di anni fa, DIMOSTRA che la nostra decisione VIENE PRIMA del nostro riconoscimento cosciente della decisione.
insomma: quando apriamo il foglio di calcolo Excel, le celle sono GIA` programmate, e quando ci inserisco il primo dato su cui devo decidere, cioe` prospetto il problema su cui decidere, il risultato esce nella cella gia` dato e io non posso modificarlo.
e cio` che chiamiamo “decisione” non e` la digitazione della formula di calcolo (che e` gia` data, per ognuno di noi secondo propri parametri), ma l’operazione con cui clicchiamo sulla cella per vedere la formula di calcolo.
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temo di avervi confuso terribilmente le idee: insomma, non e` affatto il nostro io cosciente che prende la decisione; l’io cosciente si limita a prenderne atto.
cio` che chiamiamo decisione e` soltanto il processo attraverso cui noi comunichiamo a noi stessi che la decisione e` stata presa.
in altre parole: non siamo noi, il nostro io cosciente, a decidere, ma l’io cosciente arriva dopo, dopo che il gesto e` gia` partito, a comunicarci che abbiamo deciso di fare quel gesto.
e ce lo dice nella forma “decido di”.
di fronte a un pericolo voi fuggite; ed e` nell’istante stesso che la vostra fuga e` gia` cominciata che la mente vi dice: DECIDO di fuggire.
non dice la mente, per non crearvi ansia: qualche altro programma dentro di te che non si sa che programma sia, ha deciso di fuggire: no, vi fa credere che siete stai voi, cosi` rimanete tranquilli.
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Freud ha indovinato quando ha parlato di inconscio.
la decisione avviene la`, nell’inconscio, secondo formule di calcolo che non sono consapevoli; solo dopo il cervello si rende consapevole di quello che sta gia` facendo e si convince di avere operato secondo valutazioni razionali, ad esempio.
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da questo sconcertante paradosso della decisione, che in Freud era una teoria frutto di una mente prodigiosamente intuitiva, ma oggi e` una certezza ottenuta misurando la successione delle microcorrenti elettriche nelle diverse zone cerebrali durante il processo, escono almeno due conseguenze di enorme portata, diciamo pure filosofica, se abbiamo chiaro che la filosofia altro non e` che lo specchio mentale della vita quotidiana.
ma mi sembrerebbe giusto lasciare un minimo di suspence su questioni di simile portata, no?
senza contare che alcuni saranno gia` esausti arrivati a questo punto…
senza contare che molti avranno gia` buttato la spugna via via lungo il percorso.
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3. il paradosso del libero arbitrio.
ma questa scoperta del paradosso della decisione, avvenuta attraverso l’analisi delle onde cerebrali di attivazione del movimento, che iniziano PRIMA che il soggetto cosciente decida di compierlo, trascina con se` e cancella del tutto la presunzione del libero arbitrio?
la questione veniva affrontata, ma non ricordo se nella seconda parte di questo post, che e` andata perduta, o non, piuttosto, in qualche post successivo, che non ho ancora ritrovato.
mi limito qui alla conclusione, sperando prima o poi di ritrovare l’originale e di poterlo trasferire qui.
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nel dibattito filosofico millenario tra chi ha sostenuto (i piu`) e chi negato (i pochissimi) il libero arbirtrio umano, la discussione e` sempre stata viziata alla radice dal gusto spiccato dei filosofi per le affermazioni assolute.
ben piu` concreti nell’analisi del problema sono stati, di necessita`, i giuristi che infatti ne danno un quadro ben piu` sfaccettato e realistico.
e` falso affermare in assoluto che un libero arbitrio incondizionato esiste e che dunque gli esseri umani sono sempre perfettamente coscienti e responsabili di quel che fanno; ed e` altrettanto falso rappresentarci come macchinette semplici che obbediscono meccanicamente alle leggi della natura.
se torniamo all’analisi del processo della decisione appena fatta, il libero arbitrio si configura concretamente come la capacita` dell’io cosciente di opporsi all’impulso che si e` generato al di fuori di lui, una volta che lo ha riconosciuto, e sempre che i tempi lo consentano: Freud diceva in virtu` del richiamo del Super-Io, cioe` della coscienza morale.
ma questa stessa capacita` cosciente di frenare l’impulso non e` data in forma assoluta una volta per tutte e in maniera uguale per ogni essere umano: e` condizionata dalle circostanze, dalla forza stessa dell’impulso, che a volte puo` essere tale da travolgere ogni forma di resistenza, dalle condizioni operative del momento della mente.
basta una intossicazione, anche leggera, per diminuire gli impulsi inibitori; a volte, come ben sappiamo tutti, se non ci si oppone all’inizio, la forza dell’impulso, ad esempio sessuale, puo` crescere fino a diventare irresistibile (almeno nei maschi, nelle femmine molto meno); in altri casi diventa decisivo, sul piano delle frazioni di secondo, il tempo della inibizione.
ma molto spesso questo tipo di intervento non sussiste neppure, perche` giudichiamo l’azione che stiamo facendo moralmente neutra.
dunque contestualmente al riconoscimento dell’impulso, avviene in qualche caso la decisione di opporsi oppure no.
qui, in questo piccolo margine residuo, si annida il libero arbitrio, peraltro figlio dell’Io e di come si e` strutturato e strettamente dipendente dalla sua efficienza, come processo mentale, in quel particolare momento.
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se tenessimo maggior conto di questi processi psicologici reali, la nostra stessa immagine della colpa, nostra o altrui, dovrebbe decisamente cambiare.
comunque non e` questa riflessione lo scopo di questo post, e quindi su queste note sintetiche possiamo accantonare questo breve accenno al problema.
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4. quando la mente mente.
abbiamo visto sinora che a volte la mente mente (scusate il gioco di parole).
e sa trasformare, ad esempio, anche qualche immagine statica, come queste, in una specie di film nel quale – a concentrarci su bene lo sguardo – entra il movimento e quindi il tempo:
il sottile movimento che vedete non è nell’immagine, è solo nel nostro sguardo.
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ma l’inganno principale che la mente compie verso se stessa non è soltanto ottico, è molto più sostanziale.
la mente si pone come il centro della decisione, mentre essa è soltanto un luogo di registrazione.
ma questa registrazione di ciò che il corpo fa assume la forma della decisione.
insomma la coscienza crede di decidere, mentre le indagini raffinate su quel che succede nei circuiti cerebrali dimostrano che lei arriva per ultima: prima si comincia a correre e poi si “decide” di correre.
“decidere” è quindi solo accorgersi di quello che si sta facendo.
eppure a questa percezione la mente dà la forma di una decisione presa da lei; non si accontenta di un ruolo da stenografo o verbalizzatore, vuole e ci fa credere che sia non il segretario ma il presidente della seduta.
eppure in un certo senso la mente neppure mente, quando dice: “decido di correre”.
è sbagliato solo il presupposto che “io” sia la mente; e invece è l’unità mente-corpo.
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quindi, questo paradosso mette in discussione profondamente su un primo versante il fondamento filosofico principale del cristianesimo, che è la distinzione fra anima e corpo.
del resto questa distinzione mica esisteva nell’ebraismo antico: essa è un frutto esclusivo del pensiero greco, e di Platone in modo particolare.
eppure la visione pagana dell’essere umano, che lo vedeva dominato dagli dei, che guidavano le sue azioni, spesso anche l’uno contro l’altro, appare molto più adeguata ad una descrizione moderna dell’essere umano.
se al posto degli dei mettessimo gli ormoni, se chiamassimo, che ne so, Giunone la prolattina e Marte il testoterone, questo comincerebbe a rendere l’idea…
(paradossale, no? forse anche provocatorio… ma aspettate un po’: non è che l’inizio).
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4. il paradosso della sofferenza.
gli sviluppi dello sconcertante paradosso della decisione appena illustrato emergono molto bene negli studi sulla depressione.
la mente depressa è assorbita da una situazione di grande sofferenza, che viene continuamente rielaborata e ricondotta ad una causa o a una serie di cause, ma che non sono affatto tali.
e il risultato di questa rielaborazione assume la forma logica e abbastanza razionale che ben conosciamo: sono infelice perché sono in una relazione che mi fa stare male, ad esempio.
bene: non funziona così.
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non è la relazione infelice che ti rende infelice, ma la tua infelicità che rende infelice la relazione.
lo so benissimo che ci sono relazioni oggettivamente infelici; eppure non c’è problema che non possa essere affrontato e gestito serenamente.
nel cervello del depresso sono in corso disordini funzionali, che mettono in circolo le sostanze della sofferenza.
la mente non è in grado di interpretare le cose nei termini che ho appena detto; li interpreta linguisticamente, non chimicamente.
e che fatica interpretativa deve fare la mente a volte per trovare una ragione di quel che non ha ragioni…
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ritornate alla immagine lì sopra, e immaginate che quell’inquietudine che attraversa il disegno sia la sofferenza.
essa appartiene al modo con cui la coscienza guarda quel disegno.
eppure la coscienza ci dice che qualcuno sta stiracchiando quel disegno qua e là, invece.
niente di più falso: quel disegno è immobile, noi siamo quel che siamo, il tempo è solo una apparenza.
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del resto quel drappo immobile e in inquieto movimento che hai davanti agli occhi è solo un velo, il velo di Maya.
la realtà vera è e resterà sempre lì dietro e non la potrai conoscere mai.
immagina di poterlo sollevare quel velo, e che dietro ci sia il nulla.
non un buco, non un buio, ma proprio il Niente.
a me fa venire i brividi.
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fine del paradosso sulla sofferenza, che la mente non può accettare, perché sarebbe come ammettere che la sofferenza, la forma che in ciascuno assume la sua sofferenza, è inevitabile.
e invece per vivere occorre pensare che il dolore ci venga da fuori, che si possa cambiare, che sia “colpa” di qualcuno.
con questo non intendo affatto dire “che la sofferenza non possa essere combattuta”.
direi anche di avere anzi indicato un “pharmakon”, un rimedio, se non fossi troppo presuntuoso nel paragonarmi anche solo indirettamente ad Epicuro, che fu il filosofo che più si avvicinò, in Occidente, alla saggezza dell’Oriente e fu una specie di misconosciuto Buddha greco.
partire dalla accettazione del dolore anziché dal rifiuto, partire dalla sua inevitabilità, anziché dal suo carattere ingiusto, sapersi accettare e rifiutare di avere colpa della propria infelicità, anziché considerarsi un’anima responsabile di quello che è.
accettare Nietsche e “diventare quel che siamo”.
riconoscersi vana immagine.
volersi bene come tali.
vi pare poco?
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lì sopra ho soltanto voluto voltare pagina rispetto ad una religione che considera la sofferenza una espressione del male e non uno dei normali aspetti che assume la realtà, e che ci dice che dobbiamo combatterla.
dobbiamo invece solo accettarla, come inevitabile.
basterà questo a farci vivere meglio?
certamente no, potrà diminuire il dolore solo un pochino.
però anche questo poco non mi pare poco!
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5. il paradosso della colpa.
e così, eccoci giunti ad un altro paradosso: quello della colpa.
ora il terreno è aperto, e forse potete continuare da soli.
se la mente non decide, ma chiama decisione il rendersi consapevole di quello che contribuisce a compiere, se la mente neppure provoca la sofferenza con le sue scelte, perché la sofferenza è qualcosa che nasce prima delle sue cause e prima ancora della decisione che eventualmente sembra produrla, che senso ha che la società umana si fondi sul concetto della colpa?
la mente non decide, la sofferenza preesiste e non è decisa: in che senso possiamo considerare qualcuno “colpevole” di quello che fa?
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badate bene che non dico affatto che non occorrano forme di punizione nella vita sociale: ma esse hanno solo l’utilità marginale che viene da un loro un piccolo effetto dissuasivo immediato, ma non corrispondono ad una natura profonda del nostro essere.
in tutto il mondo antico, sia pagano sia ebraico, vi erano delle regole da rispettare, certamente; ma non vi era un’anima che dovesse rispettarle.
le proibizioni riguardavano l’essere umano nella sua interezza; per questo ordini e proibizioni avevano un carattere principalmente rituale.
non chiedevano coscienza, adesione, convinzione: si trattava di semplici riti.
qualcosa di simile a questa religiosità antica sopravvive nell’islam, e questo può aiutarci a capirlo.
il divieto di mangiare carne di maiale, per esempio, non è rivolto all’”anima”, è rivolto al corpo; non è un ordine dato alla mente che la mente debba interpretare e motivare (quindi è anche inutile criticarlo razionalmente): è qualcosa che deve semplicemente essere agito.
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6. il paradosso della coscienza.
la coscienza nella storia è emersa man mano assieme agli imperi prima ellenistici e poi romano: ho quasi l’impressione che sia emersa come uno strumento di potere, per facilitare il controllo capillare di una popolazione immensa,
e ha trovato il suo definitivo trionfo appena prima del crollo dell’impero, quando gli uomini hanno imparato per la prima volta a leggere mentalmente, cosa che ci viene riferita per la prima volta, come una mostruosa stranezza, di Sant’Agostino, e che bene esprime la definitiva cristiana separazione fra anima e pensiero immortali e corpo fragile e caduco.
dalla smisuratezza dell’impero è nata l’anima immortale dei sudditi, responsabile e quindi innocente o colpevole degli atti in cui si essi si trovano coinvolti.
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ma se la mente non decide e neppure le cause della sofferenza sono realmente da individuare nelle nostre azioni, ma piuttosto in un sostrato biologico preesistente, a che serve l’immenso apparato etico che governa le nostre vite?
beh, lo possiamo accettare giusto come un sistema funzionale per non passare guai; solo se è così, diventa comprensibile.
e allora diciamo che la mente, che interpreta i comportamenti nei quali si trova coinvolta in termini di “io decido che”, è la stessa mente che gestisce una classificazione degli effetti prodotti dai comportamenti nei termini di “è bene, si deve” per i comportamenti seguiti da conseguenze biologiche positive, e di “non si deve, è proibito, è male” per i comportamenti biologicamente dannosi.
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7. oltre i paradossi.
il paradosso della decisione, il paradosso della sofferenza, il paradosso della colpa ci allontanano dalla visione del mondo che la nostra cultura occidentale ha elaborato e che ci appare oggi inadeguata.
occorre rimettere in discussione alcuni fondamenti e presupposti filosofici palesemente errati di quella cultura.
forse la definizione di karma, la tessitura particolare del nostro stare al mondo, la trama del tessuto che riveste la nostra vita nascondendocene l’essenza, è più adatta a dirci la nostra natura.
e col poeta del Novecento possiamo ripetere, ma in un mondo ahi quanto più profondo delle occasionali interpretazioni delle antologie scolastiche:
questo solo noi possiamo dirti:
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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come la fisica contemporanea ha distrutto la visione della natura occidentale fondata sulla distinzione fra essere e non essere, così le ultime ricerche scientifiche sulla mente distruggono la visione occidentale dell’essere umano fondata sulla contrapposizione fra bene e male, fra amico e nemico; e distruggono l’idea di una coscienza responsabile di quello che avviene, e quindi colpevole o innocente.
noi non abbiamo nemici, il male non esiste, perché per esistere dovrebbe essere dentro di noi e noi non ne abbiamo traccia, salvo che chiamiamo male quel karma che ci costringe a ripetere comportamenti che ci sono dannosi.
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tra gli esseri umani abbiamo quindi solo casi diversi, diverse costellazioni di carattere, ciascuna di per sè innocente, karma postivi e gradevoli e karma spiacevoli, che tendiamo ad evitare.
ma non esiste poi karma che non abbia in sè qualche riflesso positivo, a saperlo trovare liberandoci dalle colpevolizzazioni.
e tutti possiamo vivere meglio liberandoci da questi tre totem inutili:
il totem della decisione, il totem della sofferenza e il totem della colpa.
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8. il paradosso del tempo.
ma torniamo all’immagine iniziale, statica, ma apparentemente in movimento alla nostra coscienza.
lettori, questa e` una immagine della vostra anima, che a voi appare immortale.
questa e` l’immagine della vita, come appare a noi, dato che il nostro software la interpreta cosi`.
questa e` una immagine del tempo.
perdamasco domenica, 11. Nov, 2007 @ 00:20:20
L’immagine e` composta da quadrati. Gli azzurri con bordo. I verdi senza. Il che crea una sorta di prospettiva.
L’occhio che la guarda, allora, vede una parte vicina (i quadrati con bordo) ed una parte lontana: i quadrati senza.
Il movimento ondulatorio dell’immagine, allora, potrebbe anche essere provocato dalla diversa “lunghezza” dello sguardo.
Il che, e` un po’ quello che succede nei cartoni animati. Non so se sono riuscito a spiegarmi. Spero di si`.
Bortocal Sonntag, 11. Nov, 2007 @ 07:10:25
perdamasco, la tua e` semplicemente una ipotesi “tecnica” di quel che succede.
a me pare sbagliata: infatti dei bordi non puoi dire se sono delle caselle verdi o di quelle azzurre: i bordi sono come i confini, sono sempre di tutti e due.
invece, se guardi meglio, ti accorgi che i bordi non sono distribuiti regolarmente: alcune caselle ne hanno uno nero e tre bianchi, altre due e due, altre ancora uno bianco e tre neri.
e queste differenze non sono distribuite secondo qualche principio di regolarita`, cosi` che ogni casella, considerata nelle sue relazioni con le altre, viene a costituire un individuo irripetibile (esattamente come gli esseri che stanno in natura).
ed ecco che ritorno alle affermazioni iniziali:
questo crea una irregolarita` che il nostro cervello non accetta.
il nostro cervello e` troppo semplice per poter recepire analiticamente questa realta` cosi` differenziata.
e dunque e` portato a pensare che il disegno sia regolare, e che – se delle irregolarita` appaiono – questo sia il frutto di un movimento che agita l’immagine, come fosse una tovaglia mossa da un vento leggero o da qualcuno che si muove li` dietro.
potrebbe essere per un fatto analogo che l’uomo percepisce il tempo; e` infatti un difetto percettivo e di funzionamento del cervello di questo genere che fa apparire in movimento (cioe` colloca nel tempo) una immagine che in realta` e` atemporale.
la realta` e` la tovaglia, e la tovaglia e` data una volta per sempre, ma siccome questa tovaglia e` troppo complicata per noi perche` possiamo vederla per come e` con un colpo d’occhio solo, a noi pare che la tovaglia si muova perche` qualcosa (un soffio, un vento) la muove da dietro.
ma e` solo una illusione della nostra mente: la tovaglia e` fissa, immobile, morta: ci appare viva e in movimento nel tempo solo perche` abbiamo una mente limitata.
Questo tuo post è una vera provocazione….
Non tutto è in stretta attinenza quanto scrivi…ma l’argomento c’é.
205
ARBITRIO LIBERO
Sentirsi vivi è inevitabilmente bello
Non ricordo però
Di averlo mai deciso.
Nei pericoli ho paura
Di perder la vita
Senza aver pensato alcun pensiero.
Qui sorge un terribile sospetto…
C’è qualcuno che decide al posto mio!
Questo
Non lo posso
Accettare,
Sarebbe negare il libero arbitrio!
Se non c’è libero arbitrio
Non c’è colpa,
Senza colpa
Non c’è il bene,
Non c’è il male.
Ma allora crolla tutto
Religione, morale,
Filosofia e giurisprudenza pure.
Maledetto DNA !
169
ABBRACCIO
Lassù oltre il cielo non c’è azzurro,
Solo gran nero.
Il sole non è già più
Dove lo vedi.
Le stelle, poi,
Chissà dove sono andate.
Colori e suoni sono
Traduzioni sensoriali d’onda.
Il tatto pressione che cambia
E la mente è solo elaborata memoria.
Adesso però dammi un abbraccio…
108
BUIO TOTALE
È buio totale, lungo.
Non c’è più il corpo,
Non c’è più la stanza,
Non c’è più il mondo.
Resta solo l’essenza
Che resa nuda vacilla.
Le mani brancolano inutili,
La tensione sale, infiltra la mente,
Invoco i sensi perduti.
Solo vuoto colmo di nero.
Vago alla ricerca
Di pur piccola scintilla
A cui agganciare l’esistenza.
Ora è panico,
Non c’è più pensiero,
Non c’è via di fuga.
È assaggio di morte.
722
VUOTO
Vuoto.
Tutto è vuoto,
Anche il pieno.
L’atomo è un vuoto con grumi di energia:
Il nucleo palla,
L’elettrone pisello che vorticoso ruota,
In mezzo, chilometri di nulla.
Miliardi di vuoti atomi
Assemblati dal tempo
Si sono fatti uomo.
Le cose non hanno vero contatto,
Le nubi elettroniche
Con forza repulsiva si oppongono.
Che cos’è dunque una carezza?
Cos’è dunque un bacio?
590
RIFLESSIONE
Il riflesso vive di incidenza,
È reazione a ciò che colpisce.
L’onda nell’acqua lo è del sasso buttato,
La febbre dell’infezione,
Lo sciopero del conflitto.
Coscienza è riflesso nel cervello
Della lunga incidenza del mondo
Sulla specie.
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be’, la prima poesia mi sembra la sintesi perfetta del mio “paradosso della decisione”!!!!
e non e` mica male come coincidenza, mi pare!
sempre che non sia dovuta anche alla polisemia del linguaggio poetico in generale, cioe` al fatto che quando scriviamo poesia usiamo il linguaggio potenziando al massima la sua capacita` di trasmettere contemporaneamente messaggi diversi per i diversi lettori.
e qui direi che in fondo la polisemia poetica non e` altro che la quantistica applicata al linguaggio – sono oscuro, vero? ma ho appena finito di ri-leggere Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli, anche se lui invece e` chiarissimo.
le altre poesie si aggirano egualmente attorno ad alcune tematiche toccate nel mio post in forma di dittico-polittico, anche se a differenza della prima mi pare che non prendano posizione, ma esprimano soltanto delle emozioni.
sono cosi` insoddisfatto di questo post, anche dopo averlo riscritto: lo vedo ancora cosi` pieno di imprecisioni, cosi` privo di rigore concettuale.
comunque sono abbastanza vecchio per avere imparato ad accettare i miei limiti, per fortuna! 🙂
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questo me lo rileggo con calma più tardi 😉
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sapessi quante volte mi e` arrivato negli anni un commento simile, ahhaah. 🙂
oramai lo considero come una specie di muto rimprovero 😉
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tutt’altro… è interessante e ci devo pensare.. 😉
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anche io ci devo pensare su ancora… 🙂
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