l’incubo benefico – 229

chiedendo scusa a chi mi legge cercando altro, il fatto che le notte scorsa io abbia sognato non una ma due volte è talmente straordinario per me che mi vedo costretto a dedicargli un post un po’ troppo autobiografico.

naturalmente devo pensare di sognare anche io quattro o cinque volte per notte, ma a differenza di molti dimentico con quasi assoluta regolarità quel che sogno;

qualche sparuto frammento onirico sopravvissuto qua e là in un risveglio lento mi induce a pensare purtroppo (perché un po’ me ne vergogno) che una parte almeno dei miei sogni abbiano un carattere soltanto verbale: spesso, a quel che me ne rimane, io sogno semplicemente di parlare, aggrovigliando i miei discorsi, per dipanarli poi al risveglio, ma senza ricordare di averli sognati o meglio costruiti in sogno; me li ritrovo, semplicemente, come se fossero stati archiviati in qualche parte della mia mente.

vale dunque la pena per me di raccontarlo, se dunque in una notte sola ho consumato la mia disponibilità di sogni semir-ricordati di un anno.

. . .

io ho sognato, infatti, e poi mi sono svegliato, ricordando ancora quel sogno, ma dimenticandolo subito dopo – a meno che questo stesso risveglio non fosse parte del sogno.

e poi mi sono riaddormentato per un nuovo sogno, ora sanguinolento e crudele, di straordinaria evidenza, tanto che ho ancora chiarissimi nella mente, come una illustrazione stampata, alcuni dettagli degni di un quadro di Bosch:

Immagine 2

non posso chiamarlo che un incubo, ma vissuto senza angoscia, soltanto con una specie di controversa e ripugnante curiosità.

. . .

c’erano tormentatori con delle aguzze orecchie verdi orizzontali pelose, ma per niente diabolici, anzi in una ufficialissima divisa:

ma ora mi sembra anche che quelle protuberanze potessero essero l’oggetto delle trasformazioni a cui era sottoposta la persona tormentata e sottoposta a controlli controversi.

il tutto si svolgeva però senza crudeltà e senza lamenti: erano deformazioni lente e prive di dolore: erano protocolli di torture asettiche come nella Colonia Penale di Kafka.

. . .

e questo spiega forse il miracolo del terzo risveglio dopo l’ulteriore addormentamento, del quale non dico il numero, perché non sono poi sicuro che il precedente fosse reale.

una pace straordinaria, che ha preparato una giornata senza ansie e una serenità operosa per me inconsueta.

per qualche percorso sotterraneo è come se quella scena macabra avesse risucchiato su se stessa tutti i possibili sensi di disagio delle ore successive.

pacato, qualcosa mi aveva detto che la vita poteva essere ben più terribile, le leggi ben più disumane, gli affetti troppo fragili, e che chi amiamo può esserci tolto da una qualunque insensibile burocrazia senza neppure ferocia, solo con una specie di animosità tranquilla e di inimicizia senza accanimento.

. . .

respiro, o forse respiravo.

forse ho fatto male a raccontare l’incubo che mi era sembrato benefico.

ora lo sento incombere alle mie spalle, come se si fosse raccolto nelle sue ali enormi di pipistrello anemico.

non riesce a farmi paura, ma ha smesso ci incoraggiarmi, come misteriosamente, aveva fatto fino a poco fa.


4 risposte a "l’incubo benefico – 229"

    1. carissimo e., purtroppo ho una formazione filologica, e il destino dei filologi è di essere un po’ stronzi, perché finiscono sempre col demolire le false interpretazioni e le bellissimi illusioni connesse.

      la storia del versetto che citi è incredibilmente emblematica perché riassume quasi alla perfezione la formazione stessa del cristianesimo.

      l’inno che citi è stato collocato all’inizio del Vangelo secondo Giovanni, e non sono del tutto sicuro (anche se è probabile) che fosse anche all’inizio del suo nucleo più antico, quello che chiamo il Vangelo (cioè L’annuncio del regno di Dio) dei discepoli, e che fu probabilmente raccolto da Eleazar bar (o ben) Jair, il Lazzaro dei Vangeli, in vista dell’unificazione delle diverse correnti messianiste ebraiche come preparazione della insurrezione generale contro Roma, con l’invenzione di una biografia immaginaria di un unico messia che raccoglieva attorno ad una sola figura diversi episodi storicdi, ma appartenenti a figure differenti e fino allora in qualche misura conflittuali.

      questo inno ha una chiara ascendenza essenica, come mostrano le analogie molto strette con testi ritrovati tra i rotoli del Mar Morto e in particolare il tema della lotta tra i figli della Luce e quelli delle tenebre, tipico di quel movimento religioso.

      qui, quando si parlava della Parola (di Dio), poi nel cristianesimo tradotta prima con Logos, in greco, e poi con Verbum, in latino, nel mondo ebraico dell’epoca si intendeva inequivocabilmente la Torah, cioè i primi cinque libri della Bibbia ebraica, che secondo alcune interpretazioni rabbiniche preesistevano alla creazione stessa del mondo, che ne era la semplice attuazione.

      la “Parola” quindi non aveva in origine nulla a che fare con i significati che al termine aveva attribuito la tradizione filosofica classica, ma era la vera parola di Dio, espressa nella sua rivelazione a Mosè, e distingueva i veri figli della Luce, che ad essa credevano, dai figli delle Tenebre, romani ed altri miscredenti, che la rifiutavano e che quindi dovevano essere combattuti e sconfitti.

      solo quando il cristianesimo si allontanò definitivamente dalle sue origini ebraiche e cessò di essere un movimento di reinterpretazione ortodossa della religione mosaica, allora la Parola dei primi versetti di quesdto vangelo divenne il Logos, la Parola/Ragione dei filosofi greci, e dunque assunse un significato non nazionalistico, ma universale.

      certo, l’idea che prima esista la rivelazione divina e che POI il mondo diventi concreto e realizzi il racconto divino spalanca comunque le porte ad interpretazioni affascinanti, e questo neppure la filologia riesce a distruggerlo del tutto. 🙂

      "Mi piace"

  1. la parola vivifica. era solo un sogno. dopo il racconto è diventato realtà. mettendo in atto tutte le percezioni fisiche e mentali che l’immanenza ha.
    forse è per questo che io non li ricordo praticamente mai, come te.

    "Mi piace"

    1. la parola vivifica, cioè crea la realtà: con questo dai alla frase un senso nuovo e io mi ci ritrovo, dato che penso che l’essere non è una categoria della realtà, ma del linguaggio.

      le cose esistono solo in quanto entrano in una comunicazione, e la parola è comunicazione simbolica, come simb olica è l’esistenza.

      la natura inconoscibile per noi, comprensibile, neppure veramente comunicabile è aldilà dell’esistenza, ignoira questa categoria miseramente umana.

      siamo noi esseri umani mortali che dobbiamo costruirci mentalmente l’essere e il non essere, che appartengono solo a noi: per la natura misteriosamente eterna e continuamente in trasformazione l’esistere non ha alcun senso, perché non poptrà mai essergli contrapposto un non esistere.

      cosa quanto mai naturali sono i sogni, con i quali attingiamo alla natura più profonda della vita: esistono i sogni? certamente no; ma di loro neppure possiamo dire che non esistono.

      cominciano ad avere una esistenza apparente, come ogni altra che noi creiamo col nostro linguaggio mentale, quando diventano racconto.

      ma allora smettono di essere sogni, per diventare frammenti di letteratura.

      Piace a 1 persona

Lascia un commento, soprattutto se stai scuotendo la testa. Un blog lo fa chi lo commenta. E questo potrebbe diventare il tuo blog.

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.