c’e` lo scrittore e c’e` il prefatore, a chiamar cosi` l’autore di prefazioni.
sta seduto davanti a Kafka, per dire, e non te lo lascia leggere subito, no: se vuoi arrivare a Kafka, prima devi leggere lui.
e` come lo sgherro del signore feudale che sta sul ponte e ti chiede il pedaggio.
. . .
il prefatore e` spudorato e privo del senso del ridicolo: dovrebbe ben capire che qualunque cosa possa dire, fosse anche intelligentissima, di fronte a Kafka sara` una solenne minkiata.
ma il prepuziatore (lo chiamo cosi` perche` le prefazioni sono, per cosi` dire, se mi si passa la provocazione, il prepuzio del libro) non demorde: la sua voglia di prefazione e` tale che arriva perfino a nascondersi dietro una citazione del suo autore prefato che dovrebbe farlo sprofondare:
“Se il libro che leggiamo non ci sveglia con un pugno sul cranio, a che serve leggerlo?”
dovrebbe bastare, no? e invece ecco la sua prefazione, che dovrebbe farci, appunto, da cuscino sulla testa.
fatto di piume d’oca, evidentemente: sentite come continua…:
Chiede e si chiede il giovane Franz Kafka in una lettera del 27 gennaio 1904 all’amico e compagno di studi Oskar Pollack. Per escludere subito, con la perentoria lungimiranza di chi intravede il proprio destino […]
perentoria lungimiranza negata a te, prefatore.
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prefazioni! subissi di melassa, banalita` spremute a manovella, la noia stringe alla gola, ma non ci impedirai, o prefatore, di arrivare a Kafka.