ecco un post, nato occasionalmente con altre finalita`, che mi ha permesso di chiudere, credo definitivamente, i miei conti con Shakespeare.
originariamente postato sul blog https://bortocal.wordpress.com/ e ribloggato qui.
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Nella bella Verona dove s’apre la nostra scena,
inizia cosi` il Romeo e Giulietta di Shakespeare, del 1595-96 e che ha dato fama mondiale alla piu` bella citta` dell’Italia settentrionale, escludendo Venezia.
ma non era la prima volta che Shakespeare ambientava un suo spettacolo nella citta`: I due gentiluomini di Verona infatti e` una delle sue prime opere, molto meno nota e non troppo siginificativa, ed e` del 1590-92 circa.
Shakespeare racconta di due amici che vivono nella citta`: uno ama viaggiare: veder le meraviglie di un mondo lontano, invece che restar qui a poltrire nel tedio e a consumare gli anni migliori in un’inerzia senza costrutto; e si reca a Milano; l’altro e` innamorato e resta a Verona, ma poi viene mandato anche lui a Milano dal padre; qui trova l’amico, innamoratosi nel frattempo di una donna, e se ne innamora anche lui; l’amico si prepara a rapire la donna, con una scala di corda da lanciare di notte sul suo balcone, e allora lui segretamente lo denuncia; cosi` l’amico viene espulso da Milano, ma in una foresta tra Milano e Verona dei banditi lo fermano e ne fanno il loro capo; ma a Milano giunge anche la fidanzata dell’altro, travestita da uomo, ecc. ecc.
messaggio finale di questa commedia dedicata ad una intensa amicizia virile, dopo uno scontro e una riconciliazione: Tutte le nostre contese hanno da concludersi con feste solenni, in trionfale letizia. […] Dopo di che il giorno delle mie nozze sia il medesimo delle tue: una sola festa, una sola casa, una reciproca e sola felicita`.
c’e` qualche vago spunto narrativo che anticipa l’opera piu` famosa, ma un messaggio valoriale simile.
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PROLOGO Entra il coro.
CORO:
Nella bella Verona dove s’apre la nostra scena,
fra due famiglie di pari nobiltà
da un rancore antico s’arriva ad una nuova guerra,
che macchia le fraterne mani di sangue fraterno.
E dalla carne fatale di questi due gruppi nemici
nasce una coppia di innamorati sotto cattiva stella,
la cui pietosa e sventurata vicenda seppellirà,
coi loro corpi, anche l’odio dei genitori.
I casi terribili di un amore segnato dalla morte,
l’odio continuo dei padri, che nulla poté far cessare
se non la morte dei figli: ecco lo spettacolo
che per due ore occuperà la scena.
E se ci ascolterete con pazienza, a ciò che qui potra` mancare
si sforzerà di riparare il nostro impegno. (Esce.)
e` Romeo e Giulietta, la tragedia di Shakespeare diventata forse la piu` celebre ed emblematica storia d’amore segnata dalla morte, una storia di dedizione assoluta e di sfortunate circostanze.
quante volte se ne e` impadronito anche il cinema? non bastera` citare il famoso film di Zeffirelli, giusto di cinquant’anni fa; ma prima di lui occorrera` ricordare il grande Bernstein che ne fece un’opera una decina d’anni prima, trasferendo una simile trama tra le gang di New York in West Side Story, che a sua volta divenne anche un film, dopo lo strepitoso successo sulle scene.
eppure chi considera Romeo e Giulietta soltanto su questo piano, fa torto all’opera: l’amore infelice e` soltanto uno dei suoi aspetti, come bene spiega il prologo che abbiamo appena letto: il suo tema piu` profondo e` quell’odio civile: Romeo e Giulietta muoiono perche` vivono in una societa`, quella italiana, attraversata dall’odio e dal rancore, che soffocano le loro giovinezze col peso del sangue che alla fine travolge anche loro.
quando la tragedia si chiude, i concetti iniziali sono sottolineati di nuovo con forza:
PRINCIPE:
Dove sono questi nemici? Capuleti! Montecchi!
guardate che maledizione è scesa sul vostro odio,
e come il cielo ha saputo servirsi dell’amore
per uccidere le vostre gioie.
Io, per aver chiuso un occhio sulle vostre discordie,
ho perso due parenti. Siamo stati tutti puniti.
CAPULETI:
Ah, fratello Montecchi, dammi la mano.
Questa è tutta la dote di mia figlia.
Di più non posso chiedere.
MONTECCHI:
Ma io posso darti di più.
Le innalzerò una statua d’oro puro,
così finché Verona conserverà il proprio nome
nessuna immagine sarà tenuta in pregio
quanto quella di Giulietta, leale e fedele.
CAPULETI:
Con uguale splendore Romeo
riposerà accanto alla sua donna:
povere vittime della nostra ostilita`.
PRINCIPE:
Una triste pace porta con sé questa mattina:
il sole, addolorato, non mostrerà il suo volto.
Andiamo a parlare ancora di questi tristi eventi.
Alcuni avranno il perdono, altri un castigo.
Ché mai vi fu una storia così piena di dolore
come questa di Giulietta e del suo Romeo.
come nel finale dell’Iliade Priamo piange abbracciato ad Achille che gli ha ucciso il figlio Ettore e Achille piange abbracciato al padre di Ettore che gli ha ucciso l’amato Patroclo, cosi` anche nel Romeo e Giulietta il sangue e` il prezzo doloroso della riconciliazione.
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quindi l’autore di questo dramma lo colloca in Italia, perche` l’Italia gli pare non soltanto un paese affascinante e famoso, ma la sede ideale per una storia di rivalita` e di sangue; la rivalita` tra Capuleti e Montecchi, le famiglie a cui appartengono rispettivamente Giulietta e Romeo, e che solo per questa appartenenza a due clan rivali, non dovrebbero amarsi, era talmente famosa che ne parla gia` Dante nella Comedia, quasi 300 anni prima di Shakespeare, ed esattamente nel VI canto del Purgatorio, quello dedicato non soltanto al tema della vendetta, ma alle discordie civili italiane:
Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave sanza nocchiere in gran tempesta,
non donna di provincie, ma bordello! […]
e ora in te non stanno sanza guerra
li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode
di quei ch’un muro e una fossa serra. […]
Vieni a veder Montecchi e Cappelletti,
Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura:
color già tristi, e questi con sospetti!
Cappelletti sembra la forma originale del cognome che in Shakespeare diventa Capuleti; e i Cappelletti venivano da Brescia…
Vieni a veder la gente quanto s’ama! […]
Ché le città d’Italia tutte piene
son di tiranni, e un Marcel diventa
ogne villan che parteggiando viene. […]
Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde:
tu ricca, tu con pace e tu con senno!
S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde.
ma il tema dantesco si adatta cosi` bene al significato della tragedia shakespeariana che sembra quasi impossibile che l’autore non conoscesse questi versi.
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eppure non dobbiamo pensarlo necessariamente: storie simili erano gia` state raccontate nella letteratura italiana: nel 1476 Masuccio Salernitano aveva ambientato a Siena la storia di Mariotto e Ganozza, che contiene gia` tutti gli elementi della trama di Romeo e Giulietta salvo che nel finale, dove Mariotto non si suicida, credendo morta Giulietta, ma viene catturato e ucciso, e Ganozza a sua volta non si suicida alla scoperta del corpo orto dell’amato, ma muore di dolore.
la vicenda viene presentata come vera e collocata a Verona – sarebbe accaduta nel 1304 – e compaiono tutti i personaggi del dramma di Shakespeare, nella Historia novellamente ritrovata di due nobili amanti, di Luigi da Porto, pubblicata nel 1530 circa, subito dopo la morte dell’autore, studi recenti dicono anche sulla base di vicende da lui vissute personalmente a Udine all’inizio del Cinquecento.
questo racconto conobbe un enorme successo, anche attraverso la successiva rielaborazione di Matteo Bandello, inclusa nel 1554 nel secondo volume delle sue Novelle, venendo tradotto in diverse lingue e anche, liberamente, in inglese da Arthur Brooke, che ne ricavo` il poema The Tragicall Historye of Romeus and Juliet nel 1562 e da William Painter, autore del The palace of the pleasure, Il palazzo del piacere, 1566, una raccolta di novelle tradotte e adattate da Matteo Bandello e Boccaccio, a cui si ispirò Shakespeare per alcuni altri drammi, tra cui Timone d’Atene e Tutto è bene quel che finisce bene.
la vicenda di Romeo e Giulietta era stata del resto rielaborata gia` anche dal punto di vista drammatico con L’infelice Amore dei Due Fedelissimi Amanti Giulia e Romeo, Scritto in Ottava Rima da Clitia Nobile Veronese nel 1553 e in Hadriana di Luigi Groto (1578).
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quindi l’Italia, e Verona in particolare, come luogo esemplare di una conflittualita` civile fuori dalle regole?
accidenti se ci azzeccava questo Shakespeare!
lasciatemi ricordare, solo con un breve accenno, che, per una impressionante coincidenza, Verona e` stata, secoli dopo, la sede di un altro dramma, storico pero` e non soltanto letterario: il processo di Verona, intentato dai fascisti puri della Repubblica di Salo`, ridottisi a collaborazionisti dei nazisti occupanti, contro quei loro compagni di partito su cui erano riusciti a mettere le mani che avevano messo in minoranza Mussolini, dentro il partito fascista stesso, e avevano dunque provocato la caduta del regime il 25 luglio 1943.
alla vicenda, gia` orribile di per se`, dedico` un film Lizzani nel 1963; e la trama sembra presa di peso da una tragedia di Shakespeare, solo che e` priva del messaggio finale di speranza del Romeo e Giulietta, perche` tra i gerarchi messi sotto processo, e alla fine condannati a morte e fucilati, c’e` anche Galeazzo Ciano, ex-ministro degli esteri e marito della figlia prediletta di Mussolini, Edda.
il che trasforma tutto in una tragedia greca senza riscatto, perche` vede la lotta disperata e vana della figlia contro il padre, succube peraltro della volonta` di Hitler di dare una lezione esemplare e di vendicarsi di Ciano, che aveva sempre diretto la politica estera italiana su una linea di indipendenza dalla Germania, fino a che aveva potuto.
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insomma, Shakespeare fa di Verona il simbolo stesso dell’Italia nel suo aspetto piu` problematico e conflittuale; ma come faceva a cogliere cosi` bene l’aspetto piu` autentico della citta`? l’aveva forse vista?
non facciamoci ingannare dalla corrispondenza di alcuni luoghi di Verona con l’ambientazione del dramma di Shakespeare: sono corrispondenze costruite a posteriori, come il famoso balcone.
e tuttavia qualche dubbio resta.
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esiste una questione shakespeariana, in qualche modo simile alla questione omerica:
lo scrittore Henry James definì nel 1903 quella di Shakespeare “la più grande e più riuscita frode che sia mai stata realizzata nei confronti di un mondo paziente”.
e` esistito un poeta di nome Omero che ha effettivamente scritto l’Iliade e l’Odissea? la risposta prevalente dopo piu` di due secoli di dibattito moderno e` no, ma ne dubitavano gia` i greci antichi.
nessuno arriva invece veramente a porsi la domanda, invece, se sia effettivamente esistito un unico autore, genio solitario del teatro, che ha composto da solo i drammi, le commedie, i Sonetti e i poemetti attribuiti a Shakespeare: lo impedisce l’indistruttibile pregiudizio romantico sull’artista geniale e irripetibile, che ha sostituito alle tre unita` drammatiche che voleva l’estetica aristotelica (di tempo, di luogo e d’azione) una nuova indiscutibile unita`: quella dell’autore.
inutile osservare che il teatro, come il cinema che ne e` stato generato e ha preso il suo posto come spettacolo di massa, rimane il frutto di un lavoro di gruppo, anche quando va ricondotto alle scelte geniali di un regista che firma il film e se ne assume la paternita` – come del resto era spesso anche la pittura del Rinascimento: frutto di un lavoro di bottega, coordinato dall’artista capo.
cosi` non riusciamo a risolvere l’enigma della massiccia presenza dell’Italia nelle opere teatrali di Shakespeare: quasi un quarto sono ambientate o comunque legate all’Italia e chi cerca di dimostrare che il William Shakespeare che firmava queste opere deve essere stato in Italia, prima di cominciare a scrivere per il teatro (perche` dopo non ne avrebbe certo avuto il tempo), non ne trova ne` prova ne` traccia.
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ma se pensiamo invece che le opere di Shakespeare siano state il frutto di un ambiente culturale aperto e di interscambi, ecco che troviamo la figura di un eccezionale letterato di origine italiana, John Florio, che ha perfino lasciato a un certo punto un indizio evidente della sua presenza, come faceva Hitchcock nei suoi film, dove compariva sempre per qualche secondo come una persona ripresa per caso.
in Pene d’amor perdute si trova addirittura una frase in italiano: Oloferne, maestro di scuola, pronuncia questa battuta:
Oh, buon vecchio Mantovano, vecchio Mantovano! – si riferisce a Battista Spagnoli, detto Battista Mantovano (1448-1516), autore un secolo prima di poesie bucoliche –Potrei parlare di te come il viaggiatore parla di Venezia: Venechia, Venecha, que non te vyde, que non te perecche – Venezia, Venezia, chi non ti vede, non ti apprezza.
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Una figura chiave della Londra elisabettiana e` quella di Giovanni Florio, John Florio, dice Maddalena Pennacchia, docente di letteratura inglese all’Universita` di Roma Tre, che si era appunto rifugiato a Londra e li` portava avanti la sua opera di tipografo – nel senso di editore –, raccogliendo proverbi italiani, scrivendo il primo dizionario dall’italiano all’inglese; un proverbio citato da John Florio, e` appunto questo, che ritroviamo nelle Pene d’amor perdute, opera composta tra il 1593 e il 1596.
quando Giovanni Florio nel 1591 pubblicò i suoi Secondi Frutti (Second Fruits), li accompagno` con una collezione di seimila proverbi italiani che non avevano un corrispondente proverbio inglese: e molti altri di questi li ritroviamo nelle opere di Shakespeare.
e Florio ritorna a pubblicare nel 1598, dopo sette anni di silenzio letterario, Un Mondo di Parole (A World of Words); scrive wikipedia:
Chiunque cerchi chiarimenti sul linguaggio di Shakespeare, talvolta apparentemente incomprensibile, deve fare necessariamente riferimento a questo dizionario, dove, tra le altre cose, troverà elaborata la tecnica grammaticale attraverso la quale Shakespeare componeva nuove parole, idee e concetti. Queste tecniche linguistiche Florio le aveva cominciate a mettere in pratica già nei suoi Primi Frutti nel 1578. Shakespeare usava le stesse tecniche di composizione che usava Florio, ma Florio le utilizzò ancor prima che comparisse Shakespeare. Nessuno, in Inghilterra, prima di Florio e Shakespeare (ma Florio prima di Shakespeare) usò simili strutture linguistiche in maniera così sistematica.
Contemporaneamente alla elaborazione del suo dizionario, Florio lavorò alla traduzione dei Saggi di Montaigne che, finiti prima del 1600, videro la pubblicazione nel 1603. Questi Saggi divennero una moda indiscussa e furono letti e riletti per generazioni. Il contributo di questi saggi allo sviluppo letterario di Shakespeare è difficilmente quantificabile: basti pensare che alcune opere, come La tempesta, furono estesamente modellate sui Saggi di Montaigne tradotti da Florio; alcuni dei dialoghi di quest’opera sono quasi identici ad alcuni passaggi dei Saggi nella traduzione di Florio
fu Florio, infine, a realizzare il First Folio del 1623, nel quale raccolse le opere di William Shakespeare.
Il testamento di Giovanni Florio, scritto l’anno stesso della morte, rivela impressionanti affinità con il modo di scrivere e di pensare di Shakespeare.
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Giovanni Florio era nato a Londra nel 1552; suo padre, Michelangelo, era un frate fuggiasco, che aveva aderito alla riforma protestante e era dovuto fuggire dall’Italia rifugiandosi appunto a Londra, dove si era unito a una donna inglese, ma dopo l’ascesa al trono inglese di Maria la Sanguinaria, che aveva cercato di reintrodurre il cattolicesimo, abrogato dal padre Enrico VIII, si era dovuto rifugiare di nuovo in Italia, in Valtellina.
Giovanni Florio fu fatto studiare dal padre in Germania a Tuebingen, dove fu allievo del grande umanista Vergerio, e torno` a Londra solo nel 1571, quando oramai regnava la sorella di Maria la Sanguinaria, Elisabetta I, che aveva ripristinato la religione anglicana.
se dunque cerchiamo qualcuno che potesse avere una conoscenza diretta di Verona, Mantova, Milano, Venezia, Padova, sulla base della ambientazione o delle citazioni nellopera di Shakespeare, Giovanni Florio e` la figura adatta, non certo William Shakespeare.
a Londra aveva fatto all’inizio il semplice operaio, ma nel 1578, a 25 anni, pubblica la sua prima opera, First fruits, e qui, nell’introduzione Richard Tarlton, uno dei massimi attori del teatro elisabettiano lo ringrazia per il suo contributo nell’adattamento della novellistica italiana al teatro inglese.
si defini` «Italus ore, Anglus pectore» (“Italiano di lingua, inglese nel cuore”) in Queen Anna’s New World of Words (1611) e «An English Man in Italian» (“Un inglese in italiano”); a Londra conobbe e fu amico di Giordano Bruno, che vi si era rifugiato per sfuggire all’Inquisizione, e lo introduce come personaggio nella Cena delle ceneri, mentre Giovanni Florio parla di lui, come del Nolano.
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ma veniamo, invece, a quello che sappiamo di William Shakespeare come persona reale:
la firma di Shakespeare, apposta in calce alla testimonianza in un processo in cui fu teste nel 1612, e` completamente diversa nella grafia dall’unico manoscritto presumibilmente suo, di un’opera pesantemente ostacolata dalla censura e poi andata perduta, il Tommaso Moro.
un grafologo che ha esaminato quella firma ne ha dedotto che chi l’ha fatta fosse praticamente anafabeta; altri, per spiegare le evidenti difficolta` con la scrittura hanno fatto l’ipotesi che Shakespeare in quel momento, un anno prima della morte a 56 anni, soffrisse di qualche malattia che gli ostacolava i movimenti.
all’Università di Aberystwyth (Galles) si è scoperto che comprava grano durante le carestie per rivenderlo a caro prezzo, che era un usuraio e un evasore fiscale.
Shakespeare e` sepolto nel suo paese natale, ma le tombe sono due: una, piu` antica, nel pavimento della chiesa, lancia una maledizione contro chi osasse disturbare le ossa che sono li` sotto – forse proprio per le attivita` poco simpatiche che aveva svolto? – pochi anni dopo fu collocato dal genero un monumento funebre sulla parete di fianco, e qui Shakespeare era rappresentato accigliato, con barba e baffi all’ingiù, quasi abbracciato a un sacco di grano: quello che gli aveva dato ricchezza, come risulta da un disegno dell’epoca; solo nel Settecento, con la scusa di un restauro, il sacco fu trasformato in un cuscino e gli fu messa in mano una penna d’oca, e la barba fu trasformata in pizzetto.
https://corpus15.wordpress.com/2016/12/04/chi-e-sepolto-nella-tomba-di-shakespeare-556/
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i dubbi si stanno allargando, soprattutto in Italia, nonostante le farneticanti bugie diffuse ancora sotto il fascismo, su un inesistente Michele Agnolo Florio, di Messina, figlio di una Crollalanza, che si sarebbe trasferito in Inghilterra da ragazzo presso dei parenti della madre e avrebbe assunto l’identita` di William, un figlio prematuramente scomparso, dopo avere composto tra l’altro una commedia in dialetto messinese identica all’originale inglese: Troppu trafficu ppi nenti: peccato che non se ne sia mai trovata traccia.
questa ipotesi e` soltanto romanzesca, e tuttavia lo scrittore Camilleri si e` prestato al gioco ritraducendo lui in messinese la commedia shakespeariana.
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Scaltro e ignorante paesanotto, socio di una fortunata associazione teatrale? come si concilia con l’opera dello scrittore il suo profilo di usuraio e speculatore sui prezzi del grano?
Persino il suo volto resta un mistero: i dipinti e le sculture che lo raffigurano furono realizzati in prevalenza solo dopo la sua morte, da artisti che mai l’avevano conosciuto.
ma tra quelli dipinti in vita vi e` una chiara incompatibilita` e sono raffigurati almeno due tipi umani chiaramente diversi: il viso di un uomo colto e raffinato, che ama le amicizie dei principi, come dice un’iscrizione sullo sfondo, oppure un grossolano garzone dai tratti plebei.
Eppure il William dei documenti giudiziari e commerciali, gli unici finora rinvenuti, era molto più simile al rozzo commerciante barbuto, quello di questo secondo ritratto e della versione originale che era sulla tomba.
questo, invece, e` un ritratto di John Florio: non ricorda da vicino il primo dei ritratti?
e quanto sono compatibili i Sonetti omoerotici di Shakespeare con la vita di questo ragazzotto di paese che dovette sposarsi per avere messa incinta quella che sara` sua moglie sino alla fine dei suoi giorni e alla quale si preoccupa di lasciare il letto nel testamento?
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altre domande se le pone Maria Leonarda Leone su Focus, che ho gia` citato sopra nelle parti in corsivo.
Perché non intrattenne con i colleghi letterati scambi epistolari, allora diffusi quanto lo sono ora i post di Facebook? E perché alla sua morte nessuno scrisse un elogio funebre in sua memoria?
Una congerie di nuove informazioni ricavate dallo studio di documenti d’archivio, fa ritenere che chi scrisse quelle opere non fu Shakespeare. Potrebbe essere stato invece John Florio che, avvalendosi degli appunti, dei racconti e dei testi portati dall’Italia dal padre Michelangelo e grazie alla collaborazione della cerchia di colti parenti e amici e di altri drammaturghi emergenti, avrebbe creato le opere che oggi vengono attribuite al poeta di Stratford», dice Panzieri, cofondatore dell’Istituto di studi floriani di Milano e autore di una biografia sui Florio, in corso di pubblicazione.
Lo confermerebbero le tracce lasciate fra le righe delle tragedie shakespeariane: i neologismi inventati da John per le traduzioni inglesi delle opere italiane; l’ambientazione nelle nostre città e nei luoghi al di fuori dell’Inghilterra frequentati dal padre; le storie romanzate di personaggi che il colto fiorentino aveva conosciuto. Jane Grey, per esempio, regina d’Inghilterra per 9 giorni e allieva di John quando insegnava letteratura italiana presso la famiglia reale, ispirò a Michelangelo Florio un racconto del 1561 da cui il figlio avrebbe tratto Romeo e Giulietta.
Ma se furono i Florio a scrivere le opere, Shakespeare che c’entra? Gli italiani, suggeriscono gli studiosi, volevano mantenere l’anonimato: il padre, uomo di chiesa che aveva abbracciato il riformismo di Lutero, perché temeva ancora le persecuzioni dei cattolici; il figlio, uomo di prestigio a corte, perché all’epoca era considerato sconveniente firmare le opere del teatro popolare. Ed ecco cosa c’entra William. «Per venderle e rappresentarle avevano bisogno di un socio come Shakespeare: un tipo volitivo, concreto e intraprendente, già inserito nelle compagnie teatrali», nota l’esperto.
La loro collaborazione però non sarebbe rimasta segreta: il drammaturgo Robert Greene, offeso dalle arie che si dava quel prestanome, denunciò in un libello l’arroganza di “un corvo appena venuto alla ribalta, che (…) benché sia in tutto e per tutto uno Johannes Factotum (per alcuni il soprannome di Florio), si crede il solo Shake-scene (“scuoti-scena”) del paese intero”.
ma leggiamo meglio: Johannes factotum puo` significare anche il factotum di Johannes, cioe` di John, di John Florio.
fu questo libello che, rivelando il segreto della vera identita` di Shakespeare, pose fine alla collaborazione di Florio e lo costrinse al ritiro dall’attivita` teatrale?
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nel suo testamento William non nomina alcun patrimonio librario, che era molto prezioso allora, né fa accenno alle sue opere.
John Florio, invece, lasciò in eredità 340 volumi e gli scritti al conte William III di Pembroke, ma tuttora gli eredi si rifiutano di aprire le porte della loro biblioteca agli studiosi.
Forse, per continuare a difendere il falso mito letterario d’Inghilterra.
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pero` notate bene che io non sto sostenendo che bisogna semplicemente sostituire a quello di William Shakespeare il nome di John Florio, che fra l’altro aveva contemporaneamente una intensa e straordinaria produzione letteraria sua: ritengo invece che queste opere fossero il frutto di un laboratorio collettivo e di collaborazioni multiple, che del resto risultano ben documentate per alcune opere del corpus shakespeariano, e forse anche il rozzo e seminalfabeta William, con la sua intelligenza pratica e la sua esperienza grossolana, avra` contribuito al risultato finale con battute e riferimenti concreti.
nel suo insieme l’opera shakespeariana e` infatti proprio la mescolanza della incredibile raffinatezza di John con la rozzezza popolana di William.
quel che e` certo e` che non e` al William speculatore sui prezzi del grano sepolto a Stradfort – dove era morto il giorno del suo compleanno dopo una solenne sbronza degna di Falstaff – che dobbiamo il messaggio del Romeo e Giulietta, l’appello al superamento dell’odio che gia` nel Cinquecento avvelenava il bel paese, e che purtroppo continua ad avvelenarlo.
ma ad un grandissimo e geniale letterato italo-inglese, quasi dimenticato salvo che dagli esperti: John Florio.
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si`, diciamocelo in tempo di brexit: la grande cultura inglese e` nata dall’immigrazione, in particolare da quella italiana, che si e` disseminata per l’Europa nel Cinquecento per sfuggire alle persecuzioni della chiesa cattolica e ha diffuso un messaggio di pace e liberta`, proprio per la disastrosa esperienza che si lasciava alle spalle.
Verona, citta` di conflitti, dove il castello degli Scaligeri si contrappone minaccioso al centro della vita urbana e le mura rinserrano un nucleo chiuso nel cerchio del potere…
Verona da cui fuggono, in cerca di liberta` mentale, i due giovani gentiluomini dell’opera che precede Romeo e Giulietta, per veder le meraviglie di un mondo lontano, invece che restar qui a poltrire nel tedio e a consumare gli anni migliori in un’inerzia senza costrutto, e dove due giovani innamorati felici perdono la vita per la stupida eredita` di odio e livore entro i quali il mondo ottuso dei padri cerca di costringerli.
3 risposte a "visita di Verona 26 gennaio 2019 e il mistero di Shakespeare: materiali illustrativi – 49"