come si controlla l’opinione pubblica: #noncliccatequeilink – 217

si controlla l’opinione pubblica non dicendole che opinioni deve avere su determinati argomenti.

chi si occupa di questo mestiere sa benissimo che sarebbe un’impresa impossibile: su ogni argomento le opinioni si distribuiscono secondo una curva matematica che è già predefinita e ciascuno va ad occupare lì la casellina che gli è propria.

l’opinione pubblica si controlla in modo molto efficace stabilendo quali sono gli argomenti sui quali è necessario, giorno per giorno, avere delle opinioni.

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in questo modo il sistema che controlla le opinioni è sicuro che le opinioni si formino soltanto su argomenti insignificanti.

e le informazioni vere sui problemi che veramente contano e sulle scelte importanti sfuggono all’attenzione.

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potrebbe essere utile una rubrica giornaliera per segnalare quali sono i fatti su cui non occorre formarsi un’opinione? cioè quelli sui quali evitare accuratamente di informarsi sui dettagli, che tanto non servono a nulla, dato che sappiamo già tutti che cosa pensarne, ciascuno a modo suo o a modo di altri?

non lo so: la mitica rivista Quaderni Piacentini, negli anni Sessanta, aveva una rubrica molto piacevole: Da leggere e da NON leggere.

a me verrebbe da iniziarne una: non cliccate quei link.

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lo farò soltanto per oggi:

editore fascista al Salone del libro di Torino

non cliccate quei link, non aprite quella porta…


11 risposte a "come si controlla l’opinione pubblica: #noncliccatequeilink – 217"

  1. Condivido il messaggio ma non la scelta dell’argomento: per me che un fascista “reo confesso” vada in uno spazio pubblico, sostenuto da istituzioni democratiche, e che qualcuno risponda a tutto ciò dicendo “ogni opinione conta” o “non c’è nessuna sentenza”, è qualcosa su cui si deve discutere.

    P.S.: perché ci troviamo sempre in disaccordo su cose che riguardano Torino e dintorni?:-)

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    1. bella la domanda finale: forse perché io con i torinesi ho un feeling speciale ed inspiegabile, ai confini del paranormale tipico della città?

      o forse perché l’amico del cuore di quand’ero bambino in Sued Tirol era Marco Richelmy, il figlio di un un altro ufficiale come mio padre, ma di Torino, dove si trasferì, mi pare alla fine della terza elementare?

      . . .

      nel caso specifico si tratta di uno dei tanti specchietti per allodole che vengono impiegati per condizionarci tutti: più ne discutiamo e più confermiamo che se ne debba discutere.

      e invece non c’è proprio discussione sul tema: c’è una Costituzione e ci sono leggi da applicare, punto e basta.

      mi spiego meglio: protestiamo se le leggi non sono applicate, questo sì; questa è l’unica forma per trattare l’argomento, semmai.

      ma la discussione sulla libertà di espressione dei fascisti è tutta e soltanto filo-fascista, anche quando si discute per negarla.

      mi rifiuto di farlo: c’è già la Costituzione; è senso comune.

      non discuto se la Terra esiste (e neppure se è piatta; chi lo fa e comunque lo faccia, lavora per i terrapiattisti).

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        1. peso el tacòn del buso, si dice dalle mie parti: peggio la pezza di rammendo del buco.

          e chi se ne frega, fascisticamente, se vendeva il suo libro?

          non lo venderà lo stesso? anzi qualche copia di più grazie alla pubblicità che gli è stata fatta…

          e il primo e unico libro di apologia del fascismo che si pubblica in Italia? ma per favore!

          non è stato diffuso da un quotidiano nelle edicole il Mein Kampf di Hitler, nell’Italia anti-fascista, poco tempo fa? – e credo di essere stato una mosca bianca, anzi rossa, ad occuparmene allora nel mio blog.

          no, non mi convinci (né io spero di convincere te): però per me è evidente e cristallino che ci si è soltanto prestati gratis ad una campagna pubblicitaria: la strada di un esposto silenzioso alla magistratura era l’unica davvero sensata, se si voleva sollevare il caso, del resto non sollevabile in un paese dove l’apologia del fascismo si fa liberamente da anni e di solito non si scomoda nessuno per protestare perché l’anarchica libertà di espressione è un valore sacro e si arriva ad assolvere il primo De Luca che incita al sabotaggio contro la TAV, tanto è uno scrittore che usa metafore.

          la si recupera, la protesta, a comando e per gli appelli anti-fascisti che dovrebbe richiamare il gregge attorno ai pastori infidi: tempo di elezioni e povertà, grande povertà, di argomenti.

          la cosa fa il paio con le celebrazioni dei settant’anni di D’Alema che parla di comunismo dopo avere aiutato col suo governo gli americani a bombardare la Serbia, per dio!

          non se ne può più di questo paese ipocrita, ma abbi pazienza, a volte si invecchia un poco malmostosi.

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  2. Ci penso ogni giorno quando vedo e confronto le scalette dei Tg o i titoloni sulle prime pagine dei quotidiani. Infatti ormai li metto da parte e vado alla ricerca di informazioni nascoste, apparentemente insignificanti. Poi riprendo i giornali (vecchi!) e sfogliando mi accorgo di come ci manipolano ben bene!
    Grazie delle tue riflessioni, anche se non sempre riesco a commentarle.

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    1. spero vada tutto bene per te; i tuoi commenti mi sono di conforto.

      vedi, il problema in Italia è che i media sono TUTTI al servizio del potere; anche quando fanno dell’antifascismo stantio, per esempio, perché qualcuno ha deciso che l’opinione pubblica deve spaccarsi tra filo-fascisti e anti-fascisti, per fare un po’ di caciara.

      è al servizio del potere anche chi continua a parlare degli immigrati, pro o contro: 23.000 l’anno scorso; giusto per non parlare degli emigrati, 285.000 l’anno scorso, quasi 14 volte tanti.

      eppure non abbiamo una libera stampa o dei media critici che dedichino a questi ultimi 14 volte lo spazio che si dedica agli sbarchi.

      che poi sugli immigrati ci si spacchi tra uomini e no, per dirla con Vittorini, è assolutamente secondario; L’IMPORTANTE è CHE CI SI SPACCHI E CHE NON SI PARLI DEGLI EMIGRATI.

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      1. Siamo ancora molto lontani in Italia dalla possibilità di una stampa libera, realmente indipendente. E l’essere critici viene visto da tutti con sospetto. A qualsiasi livello e in ogni settore.
        A scuola eravamo mosche bianche, insegnanti capaci di ragionare tra loro, discutere e concordare strategie di insegnamento-apprendimento, lasciando spazi di libertà ai ragazzi per maturare idee, acquisire conoscenze, convinzioni e opinioni.
        Un lavoro affascinante, ma faticoso e lungo… Ma oggi sono in tanti gli ex-alunni/e che continuano un dialogo che non si è mai interrotto. E io continuo a sperare…

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        1. vedo che abbiamo fatto lo stesso lavoro, io per 18 anni, prima di passare a farlo in un modo un poco diverso.

          però direi che negli anni Sessanta e pure in un liceo classico molto tradizionalista si considerava ovvio che le sezioni migliori e anche le più dure fossero quelle dove trovavi insegnanti così.

          io lessi per la prima volta L’Unità, che in casa mia con mio padre nostalgico del fascismo (ma bravissima persona) di certo non entrava, come compito assegnato da un docente iscritto al Partito Liberale Italiano di allora, che organizzava dei dibattiti in classe…

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