sulla parte orientale di Siem Reap, la città cambogiana che stavo visitando in questi giorni di maggio dieci anni fa, la guida che avevo con me, la Lonely Planet, non diceva assolutamente nulla.
solo dava qualche informazione a proposito di uno scultore locale che, nel giardino del suo laboratorio, ha delle riproduzioni, in realtà molto grossolane, dei templi di Angkor.
è il soggetto del primo montaggio video di oggi, dove peraltro trovo più interessanti le immagini degli scalpellini al lavoro nella strada o in qualche altro laboratorio dei dintorni.
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ma la vera entusiasmante sorpresa è appunto l’intero quartiere circostante, vitalissimo e caotico, attraversato da motorini e pedoni variopinti, nelle sue strade tradizionali dove un incredibile numero di pagode buddiste è semplicemente mescolato, senza separazione alcuna, alla vita quotidiana.
qui sembra conservato (o forse devo dire sembrava?) il carattere originario della città, che, nel suo centro più ufficiale, dall’altro lato, occidentale, del fiume, appariva iunvece già fortemente condizionata dal suo destino di polo turistico della nuova Cambogia emergente dalle tragedie del suo recente passato.
è proprio questa dimensione ancora fortemente pre-globalizzazione che io cerco viaggiando e che ritrovo ancora in molte parti dell’Asia:
è qui che mi incanto, fotografando ieri e montando oggi, col piacere di riscoprire aspetti particolari, giochi di luci e di colori, atteggiamenti e volti dimenticati.