Preah Neak Pan e Ta Som – 274 – Cambogia 2009 17

questa volta non ci sono dubbi: da Preah Khan, la mattina del 20 maggio di dieci anni fa, durante il mio viaggio in Cambogia, sono passato a Preah Neak Pan, cioè al Tempio del Naga intrecciato: i naga, ovviamente, sono gli uomini-serpente della mitologia vedica e induista.

nonostante questo, la guida dice che è un tempio buddista, costruito alla fine del XII secolo, quindi al tempo delle nostre cattedrali romaniche: ma queste erano l’espressione dell’anarchia dei comuni ribelli all’impero, questo fu fatto costruire dal più megalomane degli imperatori khmer, promotore di molti altri monumenti: Jayavarman VII.

non è troppo lontano dal precedente, vi è uno stacco di soli 5 minuti tra l’ultima foto dedicata a Preah Khan, o meglio alle bancarelle che lo circondano, e la prima di questo nuovo sito.

lo si riconosce prima di tutto dalla grande vasca quadrata descritta nella guida della Lonely Planet, che aggiunge che è asciutta da secoli; e soprattutto dalla statua ricomposta, unica sopravvissuta delle quattro originarie, dove un torso di cavallo è sostenuto da un groviglio di gambe umane (ma forse è soltanto l’effetto di una ricostruzione un poco bizzarra, per non dire sbagliata).

il tempio, che è di proporzioni modeste rispetto agli altri di Angkordicono, bontà sua, era al centro di un bacino oggi asciutto, lungo tre km e largo quasi uno.

e la sua visita ha quasi l’aspetto di una presa di fiato leggera, di qualche passo tra rovine archeologiche in fondo normali, tra le meraviglie di quello che lo ha preceduto e lo stupore di quello che verrà.

. . .

anche sull’identità del sito successivo non ci sono dubbi, per fortuna, e lo si riconosce subito: è il Ta Som, molto vicino al precedente, e fatto costruire sempre dallo stesso imperatore e ovviamente nello stesso periodo.

la guida gli dedica poche righe e dice – c’è oramai una punta di insofferenza – che è l’ennesimo tempio buddista, fatto costruire dallo stesso imperatore e ovviamente quindi anche nello stesso periodo.

ma aggiunge anche, per fortuna, che l’albero gigantesco che si è completamente impossessato di un’edicola del recinto esterno offre una delle più belle immagini della zona di Angkor: volete verificare per credere?

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è vero: infatti nel dubbio, io l’ho fotografato varie volte, e una anche con un turista che ci si faceva fotografare dentro, esattamente come avevo fatto io a Preah Khan.

ma poi mi sono dedicato anche, qua e là, ai vari esemplari umani precari che hanno il loro provvisorio nido qui dentro: un bambino tristissimo, un giocoliere che fa l’equilibrista con un bastone, per non dire le lucertole…

. . .

quanto all’architettura e ai suoi motivi, si ripetono sempre uguali.

dove gli edifici sorgono per volontà di un potere assoluto unico, sono necessariamente anche tutti molto simili fra loro, e qui i motivi decorativi si ripetono con un’insistenza kitsch che tutto confonde.

il kitsch è proprio l’impronta dell’arte asservita al potere, dell’arte conformata ad un gusto diretto dall’alto, dove l’artista è l’esecutore obbediente di riti decorativi sempre uguali e la sua bravura consiste nel ripetere i motivi obbligati nel modo più ossequiente.

e qui sono le principesse flessuose dei bassorilievi, le battaglie con gli elefanti, le muraglie senza fine, le finestre sostenute da strane colonnine che sembrano ciotole impilate, i lunghi corridoi, a volte chiusi, a volte aperti, le vasche, i bacini, i sovrapporta decorati, i lunghi viali d’accesso con immagini di mostri in sequenza, le teste immani ed enigmatiche grandi come torri…

quindi, diciamola una volta per tutte: il kitsch, il conformismo artistico, è la cifra estetica del dispotismo asiatico, come lo chiamava Marx – con qualche modesta eccezione nella pittura, soprattutto giapponese; e non a caso ritorna ai giorni nostri come espressione del nuovo potere assoluto dei tempi moderni, la finanza: per gli amici, sulla stampa, i mercati.

e se la natura non avesse provveduto alla distruzione di questo immane e fragile esperimento di un assolutismo assoluto (passatemi il gioco di parole), la visita alle immani rovine di Angkor, cioè al più grandioso esempio mondiale del kitsch dell’epoca preindustriale, sarebbe quanto di più monotono sia dato immaginare.


2 risposte a "Preah Neak Pan e Ta Som – 274 – Cambogia 2009 17"

  1. “il kitsch è proprio l’impronta dell’arte asservita al potere, dell’arte conformata ad un gusto diretto dall’alto, dove l’artista è l’esecutore obbediente di riti decorativi sempre uguali e la sua bravura consiste nel ripetere i motivi obbligati nel modo più ossequiente.”

    l’ho sempre pensato, ma non avrei saputo spiegarlo meglio.
    questo tuo articolo è particolarmente interessante, riferibile in toto anche all’arte occidentale, soprattutto quella delle cattedrali e delle regge.
    grazie di darmi il modo di riflettere.
    un caro saluto

    "Mi piace"

    1. ricambio il saluto, e grazie.

      ti leggo in ogni nuovo testo poetico e grafico che produci con una fertilità prodigiosa; non sempre commento e a volte trascuro anche il like impersonale, ma è sempre un piacere che si ripete, perché anche le tue poesie sono uno stimolo per la mente.

      Piace a 1 persona

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