un vecchio caro amico (il mio compagno di banco al liceo) mi manda un articolo, Sul Vangelo apocrifo di Tommaso, di Luca Lamonaca, e mi chiede che cosa ne penso, forse per aiutarmi a riempire meglio le mie giornate un poco dispersive, ultimamente.
gli rispondo:
il livello scientifico delle considerazioni è semplicemente penoso: un esempio clamoroso di disinformazione e di mediocrità intellettuale servile verso la chiesa cattolica, e dunque ovviamente premiato.
se mi girano ancora i cosiddetti, magari ci faccio un post…
e infatti, eccolo qui: del resto non è che il livello culturale di un blog sia molto meglio, anche se qui ci si sforza comunque di essere seri e documentati.
comunque analizzare un testo semplicemente divulgativo e propagandistico come questo è un modo forse non del tutto inutile di fare i conti con alcuni pregiudizi che circolano abbastanza indisturbati sulle origini del cristianesimo, e per provare a mettere nero su bianco, in estrema sintesi, alcuni punti fermi delle mie ricerche sul tema di più di un decennio.
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iniziamo dal titolo di questo articolo: Sul Vangelo apocrifo di Tommaso.
niente di sbagliato in sé intendiamoci; ma che cosa significa apocrifo? nel linguaggio comune l’aggettivo è diventato quasi un sinonimo dotto di falso oppure di falsamente attribuito; ma in realtà apocrifo significa semplicemente clandestino.
non fa male ricordarlo in questi tempi particolarmente duri per i clandestini di altra natura (come se ne fossero stati mai di piacevoli per i clandestini di qualunque tipo, comunque!).
apocrifo: si tratta di una definizione attribuita a moltissimi dei vangeli che circolavano fino ad allora liberamente, anche se con vario successo, spesso limitato soltanto ad alcuni gruppi cristiani particolari, soltanto nel IV secolo, quando un editto imperiale li vietò e punì con la morte la detenzione di tutti i testi cristiani non riconosciuti ufficialmente dalla nuova chiesa imperiale.
questo ovviamente ne ha determinato la scomparsa in generale, ma per paradosso è proprio questo che ha salvato questo e gli altri testi della cosiddetta biblioteca gnostica di Nag Hammadi, dopo che i beduini che li scoprirono nel 1945 smisero di adoperarli per accendere il camino di casa: la comunità che li conservava, per salvarsi, infatti, all’uscita dell’editto, cioè più di 1.500 anni prima, li nascose in giare che seppellì nel deserto (qualcosa di simile avevano fatto 300 anni prima i membri di una comunità ebraica, che avevano nascosto i loro testi sacri in alcune grotte vicine al Mar Morto, per salvarli dai romani, alla fine della grande rivolta giudaica del 66-73 d.C.); e i testi, cristiani gnostici ed esseni, due diversi gruppi poi cancellati dalla storia, vennero scoperti quasi in contemporanea, cambiando radicalmente il quadro delle nostre conoscenze sulle origini del cristianesimo e sull’ebraismo di quel periodo.
prima di tale editto del IV secolo non esistevano testi cristiani apocrifi, cioè clandestini e pericolosi; i testi sulla figura del messia cristiani erano molto vari e ricchi, e anche se alla fine del secondo secolo si era già creato un consenso sulla attendibilità particolare dei quattro che poi costituirono per questa parte il canone cristiano e vennero appunto chiamati canonici (come dimostra il cosiddetto Canone Muratoriano di quel periodo), nessuno si era ancora sognato di vietarne la circolazione: per farlo occorreva prima che l’impero diventasse cristiano.
la lotta contro le eresie, cioè l’attacco integralistico alle idee diverse dalle proprie, è del tutto inseparabile dalle origini cristiane, e l’aggressività con cui i vari maestri di questa religione si rinfacciano in genere fra loro le più orribili profanazioni della verità autentica, che è naturalmente la loro, non è propriamente un esempio di quell’amore per chi ci è vicino che veniva proposto da loro come l’insegnamento morale fondamentale; ma occorre aspettare il trionfo del cristianesimo e la sua trasformazione in religione ufficiale dell’impero perché queste accuse portino al versamento di sangue, ad omicidi giustificati religiosamente, sorte che del resto succede perfino ad alcuni superstiti dei culti pagani di subire, via via esclusi dal contesto civile e relegati nei pagi, i villaggi sperduti del contadiname incolto.
quindi non parliamo per favore di apocrifo, senza sapere neppure che cosa vuol dire, a proposto del testo attribuito a Tommaso: come diversi altri siamo di fronte soltanto alla testimonianza di un modo di vivere il messaggio di colui che venne chiamato Jeshu, poi considerato non ufficiale e per questo proibito.
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e se agli apocrifi, di vario spessore culturale e interesse oggettivo, viene rinfacciata l’inattendibilità, per contrapporli ai cosiddetti vangeli canonici, che sarebbero stati individuati proprio perché giudicati più attendibili, questo giudizio potrebbe essere più di forma che di sostanza: è vero, infatti, che i vangeli entrati nel canone hanno una forma narrativa più definita ed evitano alcune divagazioni fantastiche, che caratterizzano invece alcune altre narrazioni definite apocrifi, ma questo giudizio non può applicarsi in maniera indifferenziata a tutti gli apocrifi, e in particolare ne vanno esentati due che il più antico testimone delle origini cristiane, Papia di Hierapolis, cita tra i testi più antichi ed attendibili delle origini cristiane: Tommaso, appunto, e Filippo, anche se pure questi testi, e più massicciamente il secondo, ci sono giunti pesantemente manipolati in epoca successiva alla loro stesura.
destino comune proprio per i testi cristiani più antichi e ben documentato e riconoscibile per i Vangeli secondo Marco e secondo Giovanni che unici cita fra i canonici Papia, vissuto nella prima metà del secondo secolo, dato che il Vangelo secondo Matteo, che pure cita, non può essere quello che leggiamo noi oggi, per come lo descrive, ma è probabilmente soltanto uno dei testi da cui il testo attuale di Matteo deriva.
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tutto questo spiega bene perché l’esordio dell’articolo del Lamonaca è totalmente arbitrario, quando dice: Va di moda, da ormai troppo tempo, l’uso di considerare i vangeli così detti apocrifi come depositari di segreti e rivelazioni di Gesù che i Vangeli canonici non contengono. Vorrei confutare queste assurdità.
qui non si tratta di una moda: i vangeli apocrifi che in piccolissima parte abbiamo recuperato negli ultimi decenni contengono effettivamente una immagine di Jeshu differente da quella del cristianesimo ufficiale affermatosi nel quarto secolo: dirlo non è una moda, ma la constatazione di un fatto storico, dato che fu proprio per questo che vennero condannati alla distruzione, anche se questo non significa affatto che, solo per questo, essi debbano essere automaticamente considerati più attendibili o meno manipolati.
in alcuni casi siamo di fronte ad evidenti deliri di tipo teologico privi di qualunque attendibilità storica; però rimane da dimostrare che siano effettivamente più credibili i vangeli canonici quando raccontano la trasfigurazione o la resurrezione, ad esempio.
la questione della attendibilità di quello che raccontano i cosiddetti apocrifi e i canonici va affrontata separatamente e caso per caso e perfino episodio per episodio, trattando tutti questi testi, riconosciuti come ispirati da dio o combattuto come portatori di eresie diaboliche, come un gruppo unitario e simile di racconti, uniti da una comune aspirazione religiosa, come erano appunto prima della discriminazione fra loro decisa dall’impero.
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ma fra gli apocrifi il cosiddetto Vangelo di Tommaso è testimonianza particolarmente autorevole, non soltanto per quanto ne dice Papia, ma perché chi compone questo testo si chiama Giuda (ma non è l’Iscariota), e si definisce, fin dal titolo, Toma, e lo ribadisce anche in greco: Didimos, cioè fratello gemello di Jeshu.
quindi, semmai, si dovrebbe dire vangelo di Giuda – e non secondo Giuda: Giuda il Gemello, il fratello gemello.
qualcuno dirà, anzi moltissimi hanno ampiamente spiegato, che questa era soltanto una metafora, anche se Giuda viene elencato tra i fratelli di Jeshu anche nei vangeli canonici, e se l’imperatore Traiano, nel secondo secolo, quando volle capire se vi erano ancora dei discendenti della famiglia di Jeshu che potevano definirsi pretendenti al trono di Israele, riuscì appunto a scoprire i figli di questo Giuda, ma li lasciò stare, giudicandoli gente molto semplice, come ci racconta Eusebio di Cesarea nel IV secolo, citando un autore precedente.
e la notizia è tanto più importante, visto che viene proprio da lui, che avrebbe avuto, al contrario, tutto l’interesse a tenerla nascosta, visto che conferma il carattere direttamente politico del primitivo cristianesimo, che proprio il cristianesimo successivo cercò in vario modo di nascondere, attraverso i racconti fantastici delle origini cristiane sviluppati nel secondo secolo attraverso testi come le pseudo-lettere di Paulus o gli Atti degli apostoli: due versioni della stessa storia inventata, peraltro in conflitto fra loro.
il testo di cui ci stiamo occupando appare dunque come composto da chi si definisce fratello gemello di Jeshu, addirittura, ed è notevole che nessuno mai, nei primi secoli, abbia contestato questa affermazione: figuriamoci dunque la sua importanza anche soltanto per questo!
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il Lamonaca si concentra, come annunciato già nel titolo, proprio su questo che è indubbiamente il più autorevole dei vangeli apocrifi, tanto da essersi oramai meritato la definizione, impropria, ma significativa, di quinto vangelo.
impropria perché tutto fa pensare che questo testo possa essere la più antica delle testimonianze sulla predicazione di Jeshu, o al massimo la seconda, dopo la ricostruzione, ma direi meglio l’invenzione del quadro complessivo della sua attività, tracciata dal Vangelo dei discepoli, che venne utilizzato qualche decennio dopo come base per il Vangelo secondo Giovanni che abbiamo oggi.
ed è proprio questo testo che documenta l’importanza della figura di Giuda il Gemello, cioè Toma o Tommaso, in seguito oscurata: la conclusione di tale vangelo porta alla luce infatti una aperta polemica con lui, che – anche se fu probabilmente inserita in un secondo momento – non cessa tuttavia di indicare la presenza molto precoce di due letture opposte della figura di Jeshu.
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ma lasciando un momento in disparte questo tema, veniamo all’analisi che fa Lamonaca dei primi tre detti attribuiti a Jeshu nelle Parole che Jeshu a detto e Judas il Gemello, suo fratello gemello, ha messo per iscritto: I tre “detti” riportati, ad una prima lettura, sembra che non nascondono alcuna parola segreta o messaggio criptico; nulla rivelano che non sia già contenuto nei Vangeli canonici.
Lamonaca accenna ai passi paralleli nei vangeli canonici, senza nascondere peraltro alcune vistose differenze, alle quali tuttavia non dà nessuna importanza, e conclude con una domanda che non ha nessun significato scientifico: Perché preferire un testo che già in antico non si ritenne di inserire tra i vangeli sino ad oggi considerati canonici?
ma qui non si tratta di esprimere delle preferenze, ma di rendersi conto che fra questo testo e i vangeli canonici vi è una indubbia base di riferimento comune, ma vi sono poi delle differenze di interpretazione globale della figura di Jeshu che hanno un rilevante significato storico; ed è di questo significato che lo studioso delle origini cristiane deve scientificamente occuparsi.
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ma qui il Lamonaca scrive delle assolute enormità, per non dire degli autentici falsi storici sotto traccia quando dice, senza parere: l’apocrifo copto di Tommaso che risale agli inizi del IV secolo.
questo è vero per la traduzione copta di Nag Hammadi che ci è arrivata col testo integrale, e che probabilmente contiene alcune manipolazioni, come ogni altro testo delle origini cristiane (si ritorni al Discorso sulla verità di Celso, del secondo secolo, il primo laico che affrontò il problema della crisi della cultura razionale classica indotta dal cristianesimo, e che rinfaccia ai cristiani la continua manipolazione dei loro testi di riferimento, a seconda delle esigenze polemiche del momento).
ma non è certamente vero per i frammenti papiracei in greco del secondo secolo, per quanto modesti e in parte differenti, o per la testimonianza di Papia della prima metà di quello stesso secolo, che testimoniano autorevolmente l’importanza e l’antichità di quel testo.
siamo di fronte ad un testo originario, quindi basilare, della tradizione cristiana: va trattato con tutto il rispetto che merita.
il Pap. Oxy. (papiro di Ossirinco) 1, datato originariamente alla metà del secondo secolo; la datazione è stata poi spostata da alcuni all’inizio del terzo; di questo periodo sono altri due papiri che lo contengono, anche loro nella versione greca, il Pap. Oxy. 654 e il 655.
in questo stesso periodo il testo è citato da Ippolito di Roma tra il 222 e il 235, nella sua opera Refutatio omnium haeresium, 5.7.20, e da Origene nella Omelia su Luca, 1, del 233 circa.
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questo rispetto Lamonaca non lo prova per il testo di Giuda il Gemello; scrive infatti:
Il testo copto, che contiene testi successivamente manipolati in ambiente gnostico (e quindi tardi), riportava, in modo molto scarno e approssimativo, testi spuri, frutto di citazioni mnemoniche di parole, discorsi, parabole, insegnamenti attribuiti a Gesù e che certamente saranno stati oggetto di confusioni, inserzioni di altri detti e proverbi appartenenti a tradizioni ebraiche o comunque pseudosapienziali.
La scarsa importanza del testo è facilmente desumibile dalla lettura dei 114 detti attribuiti a Gesù che vi sono riportati, il 90% dei quali sono cattive ripetizioni di quanto già affermato in maniera più chiara e corretta nei quattro Vangeli canonici.
Taluni di questi detti sono per di più pasticciati, deformati o addirittura fraintesi. Gli altri restanti sono frutto di tradizioni diverse di origine popolare nate in ambiente giudaico-palestinese. Alcuni contengono manipolazioni gnostiche derivanti da altre confessioni misteriche e iniziatiche estranee alla purezza e alla semplicità cristiana.
non solo l’affermazione che la lettura gnostica del messaggio di Jeshu sarebbe tarda è totalmente falsa; è invece originaria, come appena dimostrato sopra; ma il Lamonaca non si accorge neppure della plateale contraddizione in cui incorre: da un lato afferma che questo testo è soltanto la ripetizione di quello che i vangeli canonici dicono già (peccato che Papia tracci un quadro cronologico del rapporto fra loro esattamente opposto, tranne che per Marco e Giovanni), dall’altro che attribuisce a Jeshu un insieme confuso e approssimativo di insegnamenti di origine diversa.
perfetto: e infatti è proprio questo insieme eterogeneo e vagamente conosciuto di tesi che anche i vangeli canonici attribuiscono a Jeshu, solo che, visibilmente, nel testo oggi chiamato Vangelo di Tommaso, vi è una coerenza interpretativa che negli altri complessivamente manca: ed è evidente che i vangeli canonici si presentano come una annacquamento e una normalizzazione di insegnamenti che in questo testo più antico avevano un maggiore significato di rottura.
notate bene: non sto affatto dicendo che il testo più antico rappresenti la versione autentica dell’insegnamento di Jeshu, che probabilmente è quasi impossibile ricostruire: dico soltanto che ne rappresenta la versione più antica pubblicamente data e che gli altri cercarono di correggerla, semplicemente perché vennero dopo e furono scritti proprio per polemizzare contro di lui.
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il resto che si legge nell’articolo di Lamonaca rasenta il delirio senza senso: si tratta puramente e semplicemente di fake news:
«Queste sono le parole segrete (sic!) che Gesù il Vivente ha detto e Didimo Giuda Tommaso ha scritto».
Chi le ha scritte sembra ignorare che Didimo è parola greca che traduce Tommaso, parola aramaica, soprannome attribuito quasi sicuramente da Gesù ad un apostolo che fu detto appunto Tommaso e che era forse quello indicato come Filippo Bartolomeo, cioè figlio di Tolomeo.
fantastico! i due apostoli sono chiaramente figure distinte anche nei vangeli canonici: la loro identificazione è fantasia pura.
I nomi Filippo e Tolomeo sono greci e non giudaici e dunque è probabile costoro vivessero a Scitopoli, una delle città greche della Decapoli, l’unica a trovarsi al di qua del Giordano, in Galilea.
Quanto a Tommaso, in greco Didimo, la parola in greco significa gemello, ma in aramaico ha il senso più esplicito di “coglione”. Non è difficile scorgervi un epiteto spiritoso usato da Gesù per le caratteristiche di questo personaggio; così come Simone di Bethsaida fu soprannominato da Gesù Cefa, ovvero Pietro, per la sua durezza di comprendonio.
si può credere che enormità simili siano state scritte? difficile…, eppure.
Dunque chi scrive questo testo apocrifo, in epoca tarda, ignora ciò che i seguaci di Gesù sapevano perfettamente e che il Vangelo secondo Giovanni, scritto in greco per lettori di lingua greca, si premura di tradurre per farlo comprendere.
Chi fosse questo Filippo figlio di Tolomeo non lo sappiamo. Nei Vangeli canonici si dice pochissimo su di lui; solo in Gv 11, 16; 14, 5; 21, 2 si trovano alcuni accenni.
Questo fu forse il motivo per cui fiorirono diverse leggende intorno a questo personaggio, di cui è incerto persino il vero nome.
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rinuncio a proseguire oltre.
ma concludo dicendo che, soprattutto, a proposito del testo attribuito a Giuda il Gemello, non dobbiamo parlare neppure di “vangelo”.
ho già spiegato altrove perché, e il post è già troppo lungo.
è proprio in questo dettaglio la differenza di fondo tra la lettura gnostica e quella politica delle origini cristiane: il cristianesimo originario si divide tra il fratello gemello di Jeshu, che lo vede come un rabbi, come un maestro morale, e il cognato Lazzaro, che invece lo intende come colui che instaura il nuovo impero mondiale affidato agli zelanti dell’ebraismo o zeloti.
come ho già spiegato varie volte, euangelion era il termine che si usava all’inizio dell’impero, nel primo e secondo secolo, per annunciare la salita al trono di un nuovo imperatore.
la traduzione corretta di Vangelo secondo Marco è dunque: Annuncio del nuovo imperatore secondo Marco.
a questa lettura del messaggio di Jeshu si oppone Giuda il Gemello, che parla invece di parole che regalano l’immortalità.
i primi parlano di uno Jeshu che vince la morte con la misteriosa resurrezione in vista di un ritorno imminente per instaurare il regno di dio; Giuda il Gemello la nega e parla invece soltanto di uno Jeshu che è ancora vivente perché il suo messaggio dona a lui e a tutti i suoi seguaci l’immortalità.
e proprio in questa scissione e radicale contrapposizione di vedute si fonda, fin dal primo momento, la più feconda contraddizione del cristianesimo.
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Luca Lamonaca si autopresenta così:
Insegnante di lettere classiche, laureato in filologia classica, tesi di laurea in letteratura latina con il prof. Ettore Paratore, scuola di perfezionamento in archeologia, programmista regista di RAIUNO dal 1976 al 1996, consulente di Raiuno per i programmi del Giubileo del 2000, autore di oltre 150 documentari di argomento storico, archeologico, religioso per la Rai, autore della Bibbia a Cartoni animati per la NTV di Tokyo e RAIUNO, autore per oltre dieci anni di letteratura sportiva per il CONI, ha fatto parte per dieci anni della giuria per il premio bancarella sport… e altro.
ed ecco il testo completo dell’articolo di Lamonaca:
Va di moda, da ormai troppo tempo, l’uso di considerare i vangeli così detti apocrifi come depositari di segreti e rivelazioni di Gesù che i Vangeli canonici non contengono. Vorrei confutare queste assurdità prendendo ad esempio il vangelo apocrifo che è tenuto in grande considerazione: il vangelo di Tommaso. Si tratta di un testo che contiene 114 loghia (o detti) attribuiti a Gesù di Nazareth.
A titolo di esempio, mi limiterò a commentare i primi tre loghia dai quali è facile dedurre
senso e contenuto dei rimanenti (che comunque inserisco in appendice).
1. Egli disse: “Chiunque trova la spiegazione di queste parole non gusterà la morte”.
2. Gesù disse: “Coloro che cercano cerchino finché troveranno. Quando troveranno, resteranno commossi. Quando saranno turbati si stupiranno, e regneranno su tutto”.
3. Gesù disse, “Se i vostri capi vi diranno, ‘Vedete, il Regno è nei cieli’, allora gli uccelli dei cieli vi precederanno. Se vi diranno, ‘È nei mari’, allora i pesci vi precederanno. Invece, il Regno è dentro di voi e fuori di voi.
Quando vi conoscerete sarete riconosciuti, e comprenderete di essere figli del Padre vivente. Ma se non vi conoscerete, allora vivrete in miseria, e sarete la miseria stessa.”
I tre “detti” riportati, ad una prima lettura, sembra che non nascondono alcuna parola segreta o messaggio criptico; nulla rivelano che non sia già contenuto nei Vangeli canonici.
Il primo logos – no, logion –, che ha funzione di introduzione, annuncia che quanto seguirà (ovvero i loghia successivi) servirà per non gustare la morte. In maniera più chiara ed efficace si esprime Pietro, in Giovanni 6, 68, dove afferma: Tu o Signore, hai parole di vita eterna.
Il secondo logos è decisamente oscuro: la prima parte è già presente nei canonici: bussate e vi sarà aperto… Nella seconda parte si afferma che chi trova resterà commosso e non si sa perché ne nascerà un turbamento che li porterà a regnare su tutto. Il contenuto appare criptico se non ambiguo e contraddice palesemente ciò che i Vangeli canonici attribuiscono a Gesù: nulla c’è di nascosto che non sia stato rivelato; e la verità la capiscono anche i bambini.
Il terzo logos è ancora più banale dei precedenti. Sembra dire qualcosa ma ripete semplicemente che il Regno dei cieli è ovunque, dentro e fuori di noi.
Perché preferire un testo che già in antico non si ritenne di inserire tra i vangeli sino ad oggi considerati canonici? Occorre precisare che questa canonicità non fu stabilita dai preti, dalla Chiesa storica e secolare, da teologi indottrinati o politicanti, ma dagli stessi primi cristiani che, certamente, avevano a disposizione materiali e testimonianze molto più attendibili delle nostre. La definizione di un canone ortodosso appare per la prima volta in un frammento muratoriano scritto intono al 200 (e quindi un paio di secoli prima dell’apocrifo copto di Tommaso che risale agli inizi del IV secolo). Questo canone fu accolto e seguito sino al XVI secolo e definito nel Concilio di Trento.
Perché voler cercare lo strambo, l’esotico, e non seguire quanto la “tradizione” ci ha tramandato e conservato, dopo averlo meditato, vagliato, studiato, approfondito?
Questo così detto vangelo secondo Tommaso è stato ritrovato nel 1945 in un papiro in lingua copta, in Egitto, risalente al IV secolo. Una probabile precedente versione greca, databile forse al III secolo, poteva far parte di una raccolta di detti risalenti ad una comunità cristiana che faceva riferimento all’Apostolo Tommaso; e riportava forse alcuni loghia che la prima tradizione cristiana attribuiva a Gesù. Il testo copto, che contiene testi successivamente manipolati in ambiente gnostico (e quindi tardi), riportava, in modo molto scarno e approssimativo, testi spuri, frutto di citazioni mnemoniche di parole, discorsi, parabole, insegnamenti attribuiti a Gesù e che certamente saranno stati oggetto di confusioni, inserzioni di altri detti e proverbi appartenenti a tradizioni ebraiche o comunque pseudosapienziali. La scarsa importanza del testo è facilmente desumibile dalla lettura dei 114 detti attribuiti a Gesù che vi sono riportati, il 90 % dei quali sono cattive ripetizioni di quanto già affermato in maniera più chiara e corretta nei quattro Vangeli canonici.
Taluni di questi detti sono per di più pasticciati, deformati o addirittura fraintesi. Gli altri restanti sono frutto di tradizioni diverse di origine popolare nate in ambiente giudaico-palestinese. Alcuni contengono manipolazioni gnostiche derivanti da altre confessioni misteriche e iniziatiche estranee alla purezza e alla semplicità cristiana.
E dunque, a che serve questo testo? Perché attribuirgli rivelazioni che non hanno, contenuti (volutamente) ambigui o ingenue e pasticciate ripetizioni?
Riguardo poi alla sua antichità o originalità, è sufficiente considerare l’introduzione: «Queste sono le parole segrete (sic!) che Gesù il Vivente ha detto e Didimo Giuda Tommaso ha scritto».
Chi le ha scritte sembra ignorare che Didimo è parola greca che traduce Tommaso, parola aramaica, soprannome attribuito quasi sicuramente da Gesù ad un apostolo che fu detto appunto Tommaso e che era forse quello indicato come Filippo Bartolomeo, cioè figlio di Tolomeo. I nomi Filippo e Tolomeo sono greci e non giudaici e dunque è probabile costoro vivessero a Scitopoli, una delle città greche della Decapoli, l’unica a trovarsi al di qua del Giordano, in Galilea. Quanto a Tommaso, in greco Didimo, la parola in greco significa gemello, ma in aramaico ha il senso più esplicito di “coglione”. Non è difficile scorgervi un epiteto spiritoso usato da Gesù per le caratteristiche di questo personaggio; così come Simone di Bethsaida fu soprannominato da Gesù Cefa, ovvero Pietro, per la sua durezza di comprendonio. Dunque chi scrive questo testo apocrifo,
in epoca tarda, ignora ciò che i seguaci di Gesù sapevano perfettamente e che il Vangelo secondo Giovanni, scritto in greco per lettori di lingua greca, si premura di tradurre per farlo comprendere.
Chi fosse questo Filippo figlio di Tolomeo non lo sappiamo. Nei Vangeli canonici si dice pochissimo su di lui; solo in Gv 11, 16; 14, 5; 21, 2 si trovano alcuni accenni. Questo fu forse il motivo per cui fiorirono diverse leggende intorno a questo personaggio, di cui è incerto persino il vero nome.
Ma come si permette, presuntuoso affabulatore, di criticare pubblicamente un breve appunto da me scritto per un amico e finito non so come sul web? Non intendo perdere tempo nel rispondere alle sue argomentazioni, né tanto meno di confutarle, se non in sede opportuna, e alle sue indimostrate supposizioni sul mio conto.
Luca Lamonaca
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caro Lamonaca, leggo solo ora la Sua replica, che era stata bloccata dalla piattaforma wordpress (questo blog è chiuso da tempo)
dunque un appunto pubblicato a Sua insaputa? meglio così. sarà stato l’amico ad abusare del suo nome? ma, purtroppo per Lei, questo testo circola e anche piuttosto ampiamente, direi, visto che me l’ha mandato un amico che conosce i miei studi da “affabulatore”. quindi direi che Lei dovrebbe cercare di toglierlo dalla rete, piuttosto, perché a mio avviso non Le fa onore, anziché prendersela con me.
ma forse Lei non sapeva di essere stato pubblicato? destino cinico e baro, che condivide, secoli dopo, con i presunti autori dei vangeli… con la differenza che coloro ai quali venivano attribuiti non li avevano neppure scritti.
Lei si è permesso di svillaneggiare un testo delle origini cristiane profondo e straordinariamente suggestivo, dimostrando una profonda mancanza di rispetto, fino ad affermare che il fondatore del cristianesimo definiva “coglione” il suo autore, e si meraviglia per una replica pungente.
io poi mi sono limitato a denunciare le carenze delle Sue argomentazioni specifiche sul punto; non conosco il resto della Sua attività e su questa non troverà nel mio post nessuna considerazione complessiva, che possa risultare offensiva della Sua persona o del resto che ha prodotto e scritto: semplicemente ho osservato che su questa questione Lei si è dimostrato, allora, ben poco informato, anche se questo non Le ha impedito di esprimere giudizi o pregiudizi.
la discussione, anche dura, purché argomentata, è fondamentale nella ricerca; spero che il mio post Le sia stato utile sia per rendersi conto dei danni che può provocare alla Sua immagine un testo così superficiale sia per approfondire la questione.
se poi vorrà rispondere anche alle critiche, sarà ben lieto di ospitarLa e di darLe pieno diritto di replica argomentata anche qui. se invece lo farà altrove, chiedo troppo se vorrà segnalarmelo? grazie. darei loro anche qui il rilievo che certamente meriteranno, dopo una riflessione Sua più approfondita sul tema
cordialmente il Suo affabulatore (definizione che prendo per il suo lato migliore, senza offendermi)
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commento ricevuto via mail:
Tuo post su Vangelo di Tommaso. Certo che l’ò letto. Non ò elementi teorici per valutare. Solo… tipografici, ossia il fastidio per la tua minuscolite antisintattica.
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caro…,
non credo che servano elementi teorici per valutare una normale ricostruzione storica: il solo problema sta nel capire se le ipotesi fatte reggono per coerenza interna, e fino a chi chiunque può arrivare se non lo trattengono altre paure; più complicato è stabilire se vengono ignorati elementi di conoscenza che le contraddicono, e qui posso darti ragione sulla difficoltà di esprimere giudizi – e rende incerti anche i miei.
sulla minuscolite il discorso sarebbe lungo, ma la scrittura telematica rende le maiuscole a inizio frase superflue e perfino un poco ridicole; quando ci vediamo, se interessa, dirò di nuovo perché.
che cosa c’entra la sintassi lo sai solo tu, dato che si tratta di mere varianti grafiche.
comunque le maiuscole le abolì già Peter Weiss nel suo libro Congedo dai genitori, scritto attorno al 68: quindi, come vedi, ho perfino una tradizione alle spalle.
ciao, a presto.
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risposta ricevuta via mail:
caro…,
1 – La tua argomentazione metodologica sulla valutabilità di una ricostruzione storica mi pare buona.
2 – Sulla minuscolite, no.
Anzi, l’ argomento della ridicolità è ammazza-interlocutore, cui, ancorché indirettissimamente, si dà del ridicolo: va valutato ciò che è detto, più che da chi è detto.
L’ argomento poi della tradizione può diventare autolesionistico: se si pesano due tradizioni opposte, non è detto che siano in equilibrio o che il piatto (lanx) scenda dalla banda che farebbe comodo.
Per “sintassi”, infine, non si intende sempre la sola grammatica (ginnasiale), bensì anche la “taxis” complessiva (“syn-“) della comunicazione scritta; compresa la grafica, che non puoi, ancorché indirettissimamente (“mere”), azzerare.
Se io dovessi seguire la tua strada (mét-hodos), dovrei dire che a volte essa (non dico tu) è tendenziosa.
Senza rancore. Ma da te ci si aspetta sempre il top.
Ciao.
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caro…,
mi critichi per avere soltanto accennato ai motivi della mia minuscolite, ma è ovvio che un accenno, dichiarato tale, anche, è incompleto e criticabile.
non ho detto peraltro che l’uso delle maiuscole a inizio frase è ridicolo; ho detto che l’innovazione della scrittura telematica le rende superflue e perfino un poco ridicole.
non affronterò neppure adesso una trattazione completa del problema di quali modalità di scrittura adottare; accenno solo che mi piacerebbe vedere adottato a livello internazionale l’alfabeto fonetico internazionale, anche in qualche forma semplificata concordata: sarebbe un contributo eccezionale alla comunicabilità internazionale di ciò che si scrive e ci aiuterebbe nella corretta pronuncia delle lingue straniere.
ma non è questo il tema: spiego perché secondo me la scrittura telematica rende le maiuscole a inizio frase superflue, e solo la scrittura telematica; infatti, se scrivo qualcosa che penso debba essere stampato, uso le maiuscole anche io.
una volta, come sai, esistevano solo le maiuscole e si scriveva tutto attaccato, senza neppure segni di interpunzione; il che rendeva la lettura alquanto difficoltosa, almeno secondo i nostri parametri, e dunque contribuiva a renderla una cosa da iniziati.
la cosa aveva anche una motivazione economica, perché i materiali su cui si scriveva erano costosi e rari, e questo modo di scrivere faceva risparmiare molto spazio.
l’invenzione della carta, che ha sostituito il papiro e la pergamena, ed è materiale più facile da produrre, ha reso meno pressante l’esigenza economica e nello stesso tempo, all’incirca (chissà se i due fenomeni sono collegati), verso fine dell’impero romano si è diffusa l’abitudine della lettura mentale (Ambrogio!) che veniva facilitata dall’introduzione delle pause tra le parole e dai segni di interpunzione.
le maiuscole divennero marginali, sostituite dalle minuscole, salvo in due casi, all’inizio dei nomi propri – per aiutare a distinguerli -, e a inizio della frase: in questo caso non c’è una necessità diretta, visto che esiste il segno di interpunzione prima, ma in linguistica vale il principio della ridondanza, e siccome si era poco abituati ai segni di interpunzione, ecco che il ritorno momentaneo alla maiuscola più nota rafforzava il segno.
ridondanza, ripetizione: come un a me mi piace, o il frequentissimo oggi e di questo ne parleremo dopo.
in questo senso, la ridondanza, pur se elemento linguistico solido, è lievemente ridicola, come chi scende una scala facendo lo stesso gradino due volte con i due piedi diversi.
niente di personale, ma occorre dirlo?
su questo uso si è assestata la tradizione al tempo della stampa, quando l’economicità della carta e soprattutto l’automaticità della scrittura hanno reso economici anche gli a capo e altre varianti di scrittura in uso.
ma la scrittura telematica elimina la carta, rende l’operazione della scrittura quasi completamente immateriale e ci libera dall’obbligo di rispettare la tradizione, almeno sul versante economico.
personalmente trovo che il punto e a capo sia infinitamente più efficace, nell’indicare la fine di una proposizione, di un punto seguito da una maiuscola, e che il punto e a capo della stampa ordinaria possa essere sostituito facilmente dai tre asterischi che staccano i capoversi.
tutto qui: scelta personale libera, che non dovrebbe a mio parere creare disagio.
comoda, perché toglie dalla digitazione di un testo l’inceppatura della maiuscola obbligata – che comunque riservo ai nomi propri, dove ha una effettiva funzione sintattica, visto che serve a distinguere i significati.
scelte simili ho visto adottate anche in Germania, dove il tedesco ha rispetto a noi l’onere in più di usare la maiuscola anche per i nomi comuni, e ho visto in molti blog tedeschi abbandonare questa imposizione delle maiuscole anche lì.
va da sé che, se dovessi tradurre in libro una raccolta di post, oppure scrivere di nuovo qualche articolo su un giornale o su una rivista, visto che si tratta di carta, che costa, starei all’uso tradizionale.
per sintassi intendiamo forse due cose diverse: il nome indica non tanto la disposizione delle parole dal punto di vista grafico, quanto la loro intrinseca connessione strutturale, secondo me; la sintassi riguarda alla stessa maniera la comunicazione scritta e quella orale, ed è eguale per entrambe; quindi mi pare evidente che sia indifferente alla grafica.
la tradizione ha due facce come le regole: ci dà le regole e ci dà quindi la possibilità di violarle; se non ci fossero le regole non ci sarebbero neppure le loro violazione; se non ci fosse la tradizione non ci sarebbe neppure l’innovazione.
infine l’accusa di essere tendenzioso: ma perché un’accusa? solo chi è tendenzioso indica una tendenza, e non dico che possa sempre riuscire a crearne una…
certo che sono tendenzioso: se no, che cosa scriverei a fare?
qua e là, e soprattutto qui alla fine, occorre leggere queste parole sentendo che sono scritte col sorriso sulle labbra.
ma il punto centrale, per chiudere, è che, se scrivo qui, la mia scrittura è telematica, cioè leggera, scorrevole e abbastanza improvvisata; qui non mi si può leggere come se scrivessi un libro stampato.
se mai avrò occasione di scriverne ancora qualcuno, dovrò rientrare nelle regole di una scrittura tradizionale più seria.
la minuscolite è dunque un segnale al lettore perché legga quel che scrivo qui come fossero messaggini sul cellulare, dove in effetti le maiuscole non le usa più nessuno o quasi.
ciao, e grazie ancora delle critiche.
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