all’arrivo a Battambang, il tempo di trovare la Guesthouse, scelta sulla Lonely Planet, di scaricare la sacca, o meglio il trolley, e farsi una doccia, forse anche di riposarsi un attimo dal viaggio, che certamente non ha richiesto energie fisiche, ma è stata una gran prova di resistenza al caldo, e poi fuori a dare un’occhiata a questa che è la seconda città della Cambogia e che viene presentata su quella guida in modo abbastanza sciatto, tanto risulta poco interessante per gli estensori.
in effetti c’è qualche wat, e poco altro: i templi buddisti col loro repertorio canonico di forme e di decorazioni, che non risulta poi troppo diverso da quello della vicina Thailandia, ma forse è colpa del visitatore distratto occidentale.
qualche monumento appare in corso di (pacchiana) ristrutturazione, e comincio a dubitare che questa sia la vera cifra di Battambang, quando nella grandissima piazza principale ne ho una immediata e rumorosa conferma.
una piccola folla entusiasta cura la propria salute fisica e mentale ballando ai ritmi forsennati di musiche moderne: è ginnastica, è lotta per la linea, è viver sano.
ma soprattutto – io allora non lo sapevo ancora – è un modo collettivo di passare l’alba o il tramonto diffusissimo in Cina: per cui è anche un segnale della cinesizzazione in corso del paese e delle sue abitudini.
e se il tutto non risulta (risultava) particolarmente gradevole, non è colpa mia: aggiungete che ho il dubbio che questo ci indicasse allora quello che sta diventando, e ancora di più diventerà, il futuro del Laos, e devo confessare una certa antipatia per questa Cina un poco posticcia fuori della Cina.
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mi è rimasto un ricordo vivo di questo momento di danza collettiva in piazza, ma purtroppo, come si sa, le mie riprese con fotocamera sono andate perdute, e ne rimane come unica traccia qualche immagine più sfuocata delle altre tra le foto montate nei videoclip, che era la copertina, per dir così, di questi spezzoni di vita vissuta, che mi sarei rivisto volentieri.
da ultimo arriva, violento e scuro, il monsone che travolge di nuovo sotto montagne d’acqua e costringe a rifugiarsi in camera.
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della partenza, la mattina dopo, da Battambang, per un giro nei dintorni, non ricordo praticamente nulla di distinto, e faccio fatica persino a dire, anche vedendo le foto, quale è la meta di questa escursione, dove mi feci condurre chiaramente da un motociclista.
dopo adeguata consultazione della guida, quello che si vede apparire sulla cima di una collina dovrebbe essere il wat Phnom Satteau, con i suoi tristi ricordi, ma lo vedremo meglio domani.
ma per ora vi invito a godervi le immagini, un poco fuori di un tempo totalmente moderno, dei carri che vanno al lavoro dei campi, dei bambini che salutano sorridenti l’obiettivo, felici di essere fotografati, dei venditori di giare, della strade che si allungano rettilinee nella pianura e sono di terra battuta, dove qualche magra mucca si sofferma in attesa della poppata tardiva del figlio...
siamo tornati alla Cambogia che era o forse che fu.