Loretta Napoleoni, una volta pensavo che sarebbe stata un capo del governo perfetto, secondo me.
oggi un suo articolo mi suscita parecchie riflessioni; avremmo bisogno di riflettere più spesso e più a fondo – e assieme – su questi temi:
https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/08/04/tassi-di-interesse-negativi-cosi-si-puniscono-i-risparmiatori-invece-di-premiarli/5366419/
parla dei tassi di interesse negativi, adottati, come risposta alla crisi economica in atto da un decennio, dalla Banca Centrale Europea e dalle banche centrali dei paesi scandinavi, del Giappone e della Svizzera, e giustamente afferma che così il risparmiatore invece di essere premiato viene punito.
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mi viene in mente l’art. 47 della nostra Costituzione, che oggi appare vetusto e inattuale, oltre che totalmente disapplicato:
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.
lo cito perché oggi dà in maniera incisiva la prova di come sia profondamente cambiata la nostra società nei settant’anni passati dalla sua approvazione.
viviamo in un mondo dove il risparmio, che appariva un valore da difendere alla metà del secolo scorso, in un’Italia alla vigilia del suo miracolo economico, appare oggi la manifestazione più evidente di un comportamento addirittura antisociale, un sintomo di una mentalità chiusa e quasi paurosa, la prova della mancanza di adesione al modello di vita consumistica che è diventato addirittura una specie di valore morale ed un obbligo continuamente ribadito.
da tempo del restoi media della tradizione informativa un tempo democratica, oggi soltanto filo-demokrat, sono diventati semplicemente dei contenitori variopinti e frastornanti di stimoli al consumo di merci, di cui loro stessi fanno parte.
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qui scatta però, ai giorni ultimi, una schizofrenia non risolta dell’attuale corrente informativa che plasma l’opinione pubblica: la quale contemporaneamente leva lamenti per una crescita dei consumi non sufficientemente esasperata e dall’altro lato per la distruzione ambientale che essa provoca al pianeta: irreversibile e che comincia ad apparire del tutto fuori controllo.
sono gli stessi organi di informazione e di comunicazione a farlo, in una maniera schizofrenica (Bateson avrebbe parlato di tipica situazione schizogena, cioè tale da produrre la dissociazione mentale, come nel bambino che riceve dai genitori contemporaneamente due messaggi contraddittori).
gli stessi periodici che oramai poco si differenziano da cataloghi coloratissimi di merci e prodotti lanciano continuamente l’allarme per il clima, come per occultare che è quella stessa produzione esasperata di merci che provoca la catastrofe planetaria in corso.
e chi l’avrebbe mai detto, allora, che l’austerità berlingueriana di quarant’anni fa, uno stile di vita composto e morigerato nel dispendio per l’acquisto di merci, sarebbe diventato sinonimo di opposizione politica concretamente praticata e vissuta, ma anche lo stigma carnale dell’opposizione morale al sistema, e dunque l’ultima manifestazione della contestazione sessantottina?
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mi scuso di questo sfogo forse un poco senile, per tornare al punto.
ma con un’ulteriore premessa, che la Napoleoni non fa, forse considerandola scontata: noi parliamo continuamente di crisi economica, ma in modo troppo provinciale.
non esiste affatto una vera e propria crisi economica mondiale, ma soltanto una crisi economica europea, anche se pur sempre relativa, e in particolare di alcuni paesi in Europa, e del Giappone, che ha preceduto l’Europa nel viverla; gli altri paesi del mondo, dalla Cina all’India e via cercando fra le economie che una volta erano definite del Terzo Mondo, e perfino gli Stati Uniti, stanno al contrario vivendo tassi di espansione notevoli (quanto suicidi per il bene del pianeta).
ora, se noi concentriamo l’attenzione su quali siano i paesi nei quali la crescita economica rallenta oppure addirittura ristagna (come in Italia), troviamo una correlazione abbastanza precisa, oltre che ovvia, fra tasso di crescita demografica e tasso di sviluppo dei consumi, dunque della produzione, dunque dell’economia; con una vistosa eccezione, la Cina.
e tuttavia non è forse intuitivo che, dove il livello dei consumi è già alto e la popolazione si stabilizza oppure addirittura tende a decrescere (Italia) e perdipiù cresce la sua età media, anche il livello dei consumi si stabilizza?
in una popolazione in lento calo e progressivamente sempre più vecchia, la struttura stessa dei consumi si modifica, come è ovvio: si sposta verso spese di assistenza sanitaria o personale, ad esempio, mentre presumibilmente diminuisce la domanda di altri beni di consumo.
non è dunque un caso se i paesi con la popolazione più longeva del mondo, come il Giappone o l’Italia, siano anche quelli dove la produzione per il consumo interno ristagna; qui la domanda si sostiene soprattutto con le esportazioni, che possono trovare le loro difficoltà.
a maggior ragione se questi paesi invecchiati adottano poi politiche di contrasto dell’immigrazione e in particolare se stanno subendo invece una consistente emigrazione (come nel caso nostro italiano).
ma nel resto del mondo, dove la crescita demografica è ancora forte e in alcuni casi addirittura impetuosa, il problema di un calo dell’espansione della domanda, e dunque anche della produzione per l’interno, non c’è.
insomma, la nostra crisi economica si chiama semplicemente fine dell’egemonia europea nel mondo.
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ma qui serve una domanda, se vogliamo interrogarci sull’economia del futuro: come si può delineare una economia stabile, capace di dare risposte non devastanti in termini di benessere della popolazione, ma allo stesso tempo non produttiva di una catastrofe ambientale?
l’incremento in atto del dissesto ambientale profila i termini di una risposta che sarà dura da accettare: sono destinati a crescere il costo della conservazione delle strutture contro le alluvioni, gli uragani di tipo tropicale, i dissesti idrogeologici.
dunque si profila uno spostamento di risorse in generale dal settore privato a quello pubblico: dalle forme di consumo dissipative a quelle di consumo conservativo.
ma rimane aperta la domanda fondamentale: come possa sostenersi nell’attuale modello economico un equilibrio, di fronte ad una domanda di beni di consumo anche soltanto stabile…
eppure questa domanda non cambia la risposta: dovremo impegnare sempre più risorse a mantenere l’ambiente, le strade, le reti elettriche ed idriche, a difendere la nostra agricoltura, e spendere sempre meno per automobili, computer, cellulari, turismo…
ma la transizione non è visibilmente in atto; peggio, nessuno la profila neppure, non ci si pensa, non vi è nessuna consapevolezza della sua necessità e delle implicazioni di queste scelte.
l’orribile slogan coniato in modo alquanto superficiale qualche tempo fa, per provare a delineare le prospettive del futuro, è stato quello della decrescita felice.
prospettiva decisamente fuori dal mondo futuro: sarà una bella lotta salvare l’ambiente, piuttosto, e questa necessità diventerà rapidamente l’idrovora che cercherà e anzi ci imporrà di assorbire risorse crescenti: non saremo affatto nelle condizioni di spendere di meno, nessuna decrescita; ma dovremo invece destinare risorse CRESCENTI per salvare la nostra stessa possibilità di abitare nella nostra terra.
solo i consumi fini a se stessi, di puro intrattenimento, sono destinati a calare, ma crescerà la quota di consumi e lavoro che dovremo destinare all’obiettivo di cercare di salvarci dal collasso climatico e ambientale.
questo andrà spiegato anche all’ecologismo dei millennials alla Greta: nessuno pensi che sia possibile salvare l’ambiente senza destinare quote crescenti del reddito alla sua salvaguardia, e dunque alla diminuzione dei consumi individuali.
la crisi ambientale coincide con quella demografica, ed entrambe dovrebbero sospingerci verso forme di economia più sociale e verso strutture dei consumi meno individualistiche.
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ma nessuna consapevolezza o quasi emerge nel pensiero economico ufficiale su questa dimensione dei problemi: l’economia come si studia oggi nelle università è concentrata sugli aspetti finanziari della sua gestione e le manca la dimensione globale che la veda come espressione delle forme sociali.
quindi, eccoci alle prese con i problemi delle forme di intervento attuate da governi e banche centrali, che da un decennio almeno lottano per mantenere in vita il vecchio modello dello sviluppo, nei vecchi paesi avanzati dell’Occidente e dell’Estremo Oriente.
politiche economiche espansionistiche, si dice, ma meglio dovremmo parlare di politiche monetarie espansionistiche: se i consumi non crescono più, nelle nostre zone, le istituzioni economiche intervengono con lo strumento monetario, cercando di aiutare l’espansione dei consumi.
si abbassano i tassi di interesse (lo ha appena fatto la banca centrale degli USA, su imposizione di Trump), in modo che il credito diventi meno costoso e questo stimoli a spendere; come abbiamo visto all’inizio, in alcuni paesi questi tassi sono diventati addirittura negativi: tenere i costi in banca costa, non soltanto per le normali spese bancarie, ma proprio perché lo stato impone alle banche di chiedere in più anche un interesse per chi tiene i suoi soldi in deposito.
la Napoleoni osserva che i risultati sono modestissimi, però; da un lato chi ha risparmiato si trova con meno denaro da spendere, visto che non ricava più alcun interesse dai suoi depositi, anzi, questi gli costano spese crescenti; dall’altro, tutto questo intende provocare una disaffezione dal risparmio; ma questo implica una fuga dai depositi bancari: anzi, il finanziamento stesso del debito pubblico diventa difficoltoso, tanto che sono sempre di più le banche, piuttosto che i privati cittadini, a sottoscrivere i titoli di stato nazionali.
e la prospettiva finale si fa da incubo, con una economia che si avvita progressivamente su se stessa, accumulando progressivamente una massa di debiti, sia pubblici sia privati, che sta diventando assolutamente insostenibile: nel senso che non potranno mai essere restituiti, e che chi avrà denaro in tasca, o comunque titoli finanziari, si troverà ad avere carta straccia.
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la Napoleoni si interroga su alcune proposte per uscire da questo quadro contraddittorio e ne delinea due:
la prima è la differenziazione dei tassi di interesse: uno per i risparmiatori, positivo, e uno per le banche, intorno a zero o negativo. Il primo genera profitti e il secondo riduce i costi di chi paga mutui e interessi sui prestiti. L’effetto congiunto dovrebbe far aumentare la spesa poiché il reddito disponibile salirebbe.
insomma: far si che il tasso d’interesse sui depositi […] si alzi mentre quello sui prestiti scende.
ma come farebbero le banche a reggere la somma degli interessi negativi che dovranno continuare a pagare alle banche centrali sul denaro che hanno in deposito e gli interessi positivi che dovranno pagare ai clienti? in altre parole, come potrebbero continuare a fare profitti le banche?
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la seconda proposta è ancora più avventurosa e potrebbe apparire fantascientifica, se non fosse già stata realizzata in Australia nel 2007-08: la distribuzione gratuita di denaro ai cittadini, per evitare il collasso economico.
Gli assegni inviati hanno evitato la catastrofe – osserva la Napoleoni –, motivo per cui oggi alcuni economisti suggeriscono di fare altrettanto.
Si tratta […] di sostenere la base della piramide del debito onde evitare che ci crolli addosso.
è tutto da vedere che la piramide del debito non sia sul punto di crollare, assieme alla abitabilità del pianeta.
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no, cara Loretta, secondo me siamo ben lontani dal vedere qualche soluzione.
Leggendo il post viene mi una domanda:
Se il danaro in circolazione rispecchia sostanzialmente il valore della ricchezza presente, com’è possibile che vengano dati a debito danari enne volte il valore del Pil mondiale ? Da totale inesperto mi viene da pensare che si presti danaro creato dal nulla sul quale poi si lucrano interessi reali.
Se così è lo faccio anch’io….
PS. I giornaloni non fanno mai derivare distruzione dalla crescita che resta imprescindibile per la sopravvivenza del liberismo economico di sono espressione.
PS chiamiamola come vogliamo ma la decrescita è l’unico tentativo utile per salvare il pianeta e la sanguisuga umana, dato per scontato che siamo già fuori tempi massimo.
Qualsiasi crescita se è crescita consuma…
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credo di avere capito recentemente che il denaro non è il valore di quello che c’è, ma il valore di quello che ci si aspetta che sarà.
in altre parole il denaro è soltanto una delle forme del debito e dire debito e dire denaro è la stessa cosa.
questo spiegherebbe perché il denaro conservato improduttivo in banca perde valore ai giorni nostri: perché in un mondo in crisi o in decrescita (anche se non felice) col denaro di oggi sai già che potrai procurati meno beni domani.
un debito mostruoso globale, pari a sette volte il valore del pianeta di oggi, esprime la speranza, totalmente folle, che il mondo domani possa valere sette volte tanto quel che vale oggi.
è per questo motivo anche che, secondo me, il tema giubilare della cancellazione del debito diventa più attuale ogni momento che passa e se ne parla anche in sedi molto istituzionali.
e per questo motivo, gli interessi sono appunto il guadagno consentito dalla speranza, come dici tu; ma dove la speranza viene meno, spariscono anche gli interessi o addirittura diventano passivi: se mi presti i tuoi soldi, io te ne restituisco di meno.
credo in questo post di avere fatto un enorme passo avanti, almeno rispetto alla mia visione del mondo futuro: non ci sarà nessuna decrescita felice, anzi: le spese per mantenere l’ambiente saranno così alte, crescendo via via, da assorbire risorse crescenti di risorse e lavoro, senza diminuire la spesa globale.
quindi non sarà il lavoro a diminuire, ma soltanto lo spreco.
quindi nessuna decrescita, salvo che dei consumi inutili e parassitari, e invece un riorientamento delle spese nella direzione dell’utilità sociale e della indispensabile salvaguardia e ripristino (fino a che sarà possibile) delle condizioni ambientali.
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