la forma originaria della terza testimonianza, che mi pare di poter ricostruire, poteva essere questa:
3, 22 Jeshuu andò con i suoi seguaci nella regione della Giudea, e là si tratteneva con loro e battezzava.
23 Anche Jehohanan battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. […]
25 Nacque allora una discussione tra i seguaci di Jehohanan e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale.
26 [I suoi seguaci] andarono da Jehohanan e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui».
27 Jehohanan rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. […] 30 Lui deve crescere; io, invece, diminuire. 31 Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra». […]
4 1 Jeshuu venne a sapere che i farisei avevano sentito dire: «Jeshuu fa più discepoli e battezza più di Jehohanan». […]
3 Lasciò allora la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea.
4 Doveva perciò attraversare la Samaria.
5 Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6 qui c’era un pozzo di Giacobbe.
Jeshuu dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo.
Era circa mezzogiorno.
7 Giunge una donna samaritana ad attingere acqua.
Le dice Jeshuu: «Dammi da bere».
8 I suoi seguaci erano andati in città a fare provvista di cibi.
9 Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?».
10 Jeshuu le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».
11 Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12 Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
13 Jeshuu le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14 ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».
15 «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».
16 Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui».
17Gli risponde la donna: «Io non ho marito».
Le dice Jeshuu: «Hai detto bene: «Io non ho marito».18 Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
19 Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20 I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
21 Jeshuu le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24 Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità».
25 Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia […]: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».
26 Le dice Jeshuu: «Sono io, che parlo con te».
27 In quel momento giunsero i suoi seguaci e si meravigliavano che parlasse con una donna; nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?».
28 La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29 «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il messia?».
30 Uscirono dalla città e andavano da lui.
31 Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia».
32 Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete».
33 E i seguaci si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?».
34 Jeshuu disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35 Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36 Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37 In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38 Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
39 Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto».
40 E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. […]
. . .
il versetto 3, 25 crea un problema difficile da risolvere, perché accenna ad una discussione sulla purificazione rituale tra i seguaci di Jehohanaan e un giudeo, presumibilmente un sostenitore ortodosso dell’ebraismo; ma questa discussione non è riportata; chiaramente occorre pensare che qui si accennava appena ad un tema già ampiamente noto, ma allora ma questo colloca la narrazione di questo episodio a immediato ridosso del suo svolgimento e in un contesto pienamente ebraico; difficile pensare che il tema potesse avere un qualunque interesse verso la fine del I secolo; i termini molto sintetici con i quali vi si accenna potrebbero anche servire all’estensore della testimonianza a non approfondire il solco con il farisaismo dominante, vero il quale nella testimonianza precedente, si erano gettati dei ponti.
in alternativa il fatto che il versetto spezzi la continuità narrativa, potrebbe far pensare che appartenga ad una fase successiva di rielaborazione; ma questa ipotesi è molto meno plausibile, perché non si giustifica l’inserimento successivo ad un tema neppure sviluppato.
rimane la curiosità di capire che senso potesse avere il rapporto che veniva a crearsi tra il maggiore successo della predicazione di Jeshuu e la contrapposizione fra i seguaci di Johanaan e il farisaismo dominante; la spiegazione che mi pare migliore è che chi ha steso il testo volesse accennare fra le righe al fatto che Jeshuu era più vicino teologicamente al farisaismo che i seguaci di Johanaan; e questo sarebbe coerente col fatto che in seguito i seguaci di Johanaan consideravano Jeshuu un traditore del suo autentico messaggio.
. . .
questa testimonianza è alquanto composita: riprende all’inizio il tema dei rapporti con i mandei, i seguaci di Jehohanan, noto nella tradizione cristiana come Giovanni Battista e presso Giuseppe Flavio presumibilmente indicato col nome di Teuda, ma poi sono i samaritani il tema centrale di questa testimonianza.
continua dunque la serie che mette in rapporto la predicazione di Jeshuu con le diverse correnti di pensiero del suo tempo, per confermare la possibilità di aderirvi a partire da posizioni diverse: dopo Giovanni Battista e i suoi seguaci e indirettamente gli esseni (Inno iniziale e prima testimonianza) e dopo i farisei (seconda testimonianza), ora si afferma con chiarezza la possibilità che anche i samaritani aderiscano al messaggio di Jeshuu, e dunque entrino a pieno titolo a fare parte dell’imminente nuovo regno da lui annunciato.
è una sorta di programma politico per la piena unità nazionale ebraica in funzione della proclamazione del nuovo regno.
è vero che nel testo del Vangelo secondo Giovanni si rinfaccia anche ai samaritani un culto non autentico, ma credo che si debba riconoscere che questa è una interpolazione (vedi sotto al versetto 4. 21).
. . .
occorre dunque qualche precisazione, pur se breve, su chi erano i samaritani e che senso aveva rivolgersi anche a loro per chiamarli a fare parte pienamente del programma di riscatto nazionale ebraico, dopo il breve accenno fatto sopra.
la prima informazione importante e un poco stupefacente per i non addetti ai lavori è che i samaritani esistono tuttora: in ebraico: שומרונים, shomronim, intesi come gli aderenti alla religione del samaritanesimo .
sono una piccolissima comunità di 796 membri nell’ultimo censimento in Israele; il loro nome deriva dall’ebraico shamerim (שַמֶרִים), significa cioè “custodi (della Legge)”: quindi non sono samaritani perché abitano la regione della Samaria, ma questa si chiama così, perché abitata da loro – e si trattava della regione montuosa tra la Galilea (a nord) e la Giudea (a sud), quella centrale della terra d’Israele, e la sua capitale era Shomron.
il sommo sacerdote samaritano nel 1920
ma di quale legge sono custodi i samaritani? semplicemente dell’ebraismo autentico, rivendicano loro.
se qualcuno si ricordasse come me gli insegnamenti che si davano a dottrina o nell’ora di religione cattolica un tempo obbligatoria e che da tempo sono scomparsi, non potrebbe che restare sconcertato:
ma come? il buon samaritano dei vangeli sinottici era l’esempio stesso di come si potesse essere individualmente persone per bene, pur appartenendo a un popolo maledetto, ed ora scopriamo che quel popolo si considerava invece il custode della tradizione autentica e che anzi era maledetto forse proprio per questo?
. . .
questo ci costringe ad una breve divagazione storica e all’evidenziazione di alcune mistificazioni della Bibbia.
tutti conosciamo (o conoscevamo) bene una volta la leggenda della deportazione degli ebrei a Babilonia, con tanto di salmi dedicati alle rive dei salici sulle sponde dell’Eufrate, che tanto successo ha avuto nell’immaginario collettivo, dal Nabucco di Verdi, all’imitazione del nobel Quasimodo.
ma l’autore di questa deportazione, Sargon II, si vanta in una sua iscrizione di avere deportato dalla Palestina in tutto 27.290 persone, quindi palesemente non l’intera popolazione: si trattava soltanto della sua classe dirigente, che si giudicò necessario estirpare per cancellare l’identità di quel popolo.
e dunque i samaritani, da un punto di vista storico, sono effettivamente i discendenti della popolazione ebraica che rimase sul posto e si fuse poi con una parte delle popolazioni non ebraiche a loro volta deportate lì.
la Bibbia ebraica, come la conosciamo oggi, rispecchia la posizione di quella parte più tradizionalista e integralistica dell’elite ebraica esiliata dagli assiri quando le fu concesso il rientro in Palestina da parte di : essi sostennero che solo i discendenti delle tribù del più meridionale regno di Giuda (cioè quelle di Giuda, Beniamino, Levi, Simeone) erano veri e puri ebrei, mentre i samaritani discendevano esclusivamente dagli stranieri pagani deportati in Israele nel 722 a.C. per sostituire le popolazioni ebraiche, che sarebbero state totalmente deportate: su questa base, per motivi che erano allo stesso tempo razziali, cioè etniche, e religiose, i samaritani vennero praticamente esclusi dall’appartenenza alla nuova comunità ebraica, che si autodefiniva eletta da Dio per la sua purezza, e considerati col disprezzo che meritava la loro origine spuria e la loro religione differente.
. . .
ma qui occorre veramente vincere delle resistenze culturali fortissime e affermare con semplicità un fatto tanto evidente quanto negato: che gli inventori del razzismo, come fatto culturale sono gli ebrei, unico popolo antico caratterizzato dalla fissazione malata sulla centralità della genealogia per determinare il valore individuale, e dalla convinzione che il loro Dio li privilegiava proprio per la purezza della nascita.
l’affermazione potrà dispiacere tanto agli ebrei integralisti quanto ai seguaci del razzismo di origine nazista: ma occorre dire con assoluto semplicità che sono fratelli e che il loro modo di ragionare nasce da basi identiche: il razzismo nazista è soltanto una variante storica occasionale e in fondo minore del razzismo ebraico che, invece, attraversa i secoli e i millenni.
L’annuncio del nuovo regno si pone in radicale alternativa a questa visione dell’ebraismo, in nome di una apertura universalistica.
. . .
le evidenze archeologiche smentiscono l’interpretazione ebraica tradizionale: in Samaria, mentre le elites erano deportate a Babilonia, sopravvive sia la cultura materiale precedente, sia soprattutto il culto di Yahweh, che peraltro i compilatori dei libri biblici post-esilici considerarono illegittimo e spurio, in qualche modo ereticale, si direbbe applicando un termine tipicamente cristiano.
di conseguenza i samaritani, dopo avere cercato di collaborare con i ritornati dall’esilio, per ricostruire insieme il tempio di Gerusalemme, ed essere stati rifiutati, in quanto razzialmente impuri, nel IV secolo arrivarono a costruirsi sul monte Gerizim un loro tempio, alternativo a quello di Gerusalemme.
e la chiave di volta di questa situazione dipese dal fatto che i ritornati dall’esilio pretesero, con queste giustificazioni, di riprendersi proprietà e ruoli di potere espropriando le popolazioni del posto, e ponendo le basi di uno scontro irreversibile fra popolo e sacerdoti o ricchi proprietari terrieri, che anche la letteratura evangelica testimonia, e che sta al fondo anche della predicazione di Jeshu per come lì ci viene rappresentata.
. . .
insomma, dopo un iniziale periodo di collaborazione, la situazione degenerò rapidamente in uno scontro sociale, politico, religioso, fra “rimasti” e “ritornati”, che caratterizzò per secoli la situazione della regione, che apparve da allora distinta in tre realtà differenti, geograficamente e culturalmente: Giudei, gli ebrei raccolti nella parte meridionale della Palestina attorno a Gerusalemme e al suo tempio, i samaritani della parte centrale, col loro tempio del monte Gerizim, i galilei della parte settentrionale, separati geograficamente dalla Giudea ed anche culturalmente abbastanza diversi, ma che tuttavia riconoscevano il tempio di Gerusalemme e il suo culto, anche se con atteggiamenti fortemente critici verso la classe sacerdotale.
per cui, sia detto per inciso, ma è una precisazione fondamentale, quando nel testo attuale si legge la parola Giudei, solo per le parti dove sono avvenute le manipolazioni del II secolo d.C. possiamo intenderla, come siamo portati a fare, come sinonimo di ebrei, contrapposto a pagani; ma nelle parti del testo che risalgono alla sua stesura originaria, cioè alL’Annuncio del nuovo regno, si tratta di Giudei contrapposti a Galilei, e anche a Samaritani.
ma furono i ritornati, attraverso l’opera ventennale di Esdra, a riorganizzare la vecchia bibbia ebraica, ripensandola attraverso questa ottusa e chiusa visione del mondo, e ad imporla ai secoli futuri e al cristianesimo stesso come unica autentica base dell’ebraismo, e a cancellare quasi completamente le tracce dell’ebraismo originale autentico, ben differente per molti aspetti.
e questo si salvò, almeno in parte, proprio presso la religione dei samaritani.
. . .
ecco, questo è il contesto storico, non ben presente più nelle sue concrete origini, a chi viveva nella Palestina del I secolo.
aggiungiamo il particolare significato della collocazione geografica della scena: si parla di una città della Samaria chiamata Sicar; questo è il nome in aramaico di Sichem, che non era soltanto la città più importante della regione, ma era stata secoli prima la capitale del regno di Israele, dopo la separazione dal regno di Giuda che aveva come capitale Gerusalemme.
Sichem, che oggi è parte della palestinese Nalbus, era giusto ai piedi del monte su cui sorgeva il santuario dei samaritani prima che gli ebrei di Gerusalemme lo distruggessero; quindi non era un borgo casualmente incontrato lungo il cammino, ma il luogo che meglio di ogni altro poteva rappresentare il popolo samaritano.
questi sono i riferimenti a Sichem che ogni ebreo trovava nella bibbia:
e Abram attraversò il paese fino alla località di Sichem, presso la Quercia di More. Nel paese si trovavano allora i Cananei. Genesi 12,6
Sichem, viene ricordato nel testo, era vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio:
18 Giacobbe arrivò sano e salvo alla città di Sichem, che è nella terra di Canaan, al ritorno da Paddan-Aram e si accampò di fronte alla città. 19 Acquistò dai figli di Camor, padre di Sichem, per cento pezzi d’argento, quella porzione di campagna dove aveva piantato la tenda. 20 Qui eresse un altare e lo chiamò «El, Dio d’Israele». Genesi 33,18-20
che in quel terreno ci fosse un pozzo risulta soltanto dal racconto del Vangelo secondo Giovanni: 6 qui c’era un pozzo di Giacobbe; si tratta di una notazione molto precisa, che non ha altre fonti e nasce dunque da una conoscenza diretta del luogo.
ma, come si narra subito dopo, Sichem, figlio di Camor l’Eveo, principe di quel territorio rapisce e violenta Dina, figlia di Giacobbe; propone poi un matrimonio riparatore, perché se ne è innamorato; i figli di Giacobbe accettano la proposta a condizione che gli uomini della città si circoncidano; ma quando lo fanno, approfittano della loro condizione di sofferenza per sterminarli tutti e saccheggiare la città e la regione; in seguito a questo fuggono in un’altra località, seminando il terrore, e Dio li benedice.
si deve aggiungere il particolare significato che la città aveva nella bibbia ebraica, come luogo nel quale, prima dell’ingresso nella Palestina, Giosué, il successore di Mosè nel racconto biblico, aveva stipulato un nuovo patto col dio del suo popolo:
25 Giosuè in quel giorno concluse un’alleanza con il popolo e gli diede uno statuto e una legge a Sichem. 26 […] Prese una grande pietra e la rizzò là, sotto la quercia che era nel santuario del Signore. 27 Infine, Giosuè disse a tutto il popolo: «Ecco: questa pietra sarà una testimonianza per noi, perché essa ha udito tutte le parole che il Signore ci ha detto; essa servirà quindi da testimonianza per voi, perché non rinneghiate il vostro Dio».
Giosuè 24, 25-27
e Giosuè è soltanto un altro modo di rendere in italiano il nome in ebraico di Jeshuu: Yehoshua.
. . .
anche questo aiuta capire la portata assolutamente rivoluzionaria del messaggio contenuto in questa testimonianza: due volte rivoluzionaria.
perché afferma che l’adesione al nuovo regno in via di proclamazione è aperta anche ai samaritani, e nello stesso tempo lo fa attraverso l’affermazione di fede in esso di una donna.
e qui occorrerebbe una nuova trattazione di come la presunta restaurazione dell’ebraismo puro fatta per i ritornati passò anche attraverso la svalutazione della donna, ben esemplificata dalla sovrapposizione della versione che Eva venne creata da una costola di Adamo, sulla precedente narrazione “maschio e femmina gli dei li crearono”, che segnava fin dall’inizio dei tempi le basi dell’eguale dignità di uomini e donne.
. . .
ma la vicinanza, qui rappresentata, di Jeshuu alla religione dei samaritani si estende appunto anche a questo punto, perché loro erano i rappresentanti di una versione alternativa dell’ebraismo che indicava la pari dignità della donna.
e dunque qui la centralità della donna samaritana non è affatto casuale: e lasciate pure che siano i seguaci di Jeshuu a scandalizzarsi perché lo trovano a colloquio da solo a solo con una donna samaritana.
questa testimonianza è dunque dirompente e spezza in un colpo solo due pregiudizi dell’ebraismo integralistico sacerdotale del tempio di Gerusalemme: l’impurità razziale dei samaritani, che doveva escluderli dal culto per questo solo motivo, e l’inferiorità della donna.
e nello stesso tempo cerca (invano) di porre le basi di una riconciliazione nazionale fra samaritani e giudei; ma pensateci bene: quale altro messaggio poteva venire dalla Galilea?
. . .
i passi, secondo me, da espungere da questa testimonianza, perché appartengono a fasi successive della rielaborazione del testo, sono questi:
1. 3,22 Dopo queste cose: è la forma tipica di passaggio da una testimonianza all’altra, un’altra delle integrazioni cronologiche aggiunte in un secondo momento, per dare una parvenza di narrazione sequenziale a quella che in origine era soltanto una raccolta di ricordi sparsi.
ulteriori elementi a sostegno di questa ipotesi nel punto 7 di questa ricerca.
. . .
2. 3,24 Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.
è una annotazione introdotta per raccordare la narrazione ai vangeli canonici: il Vangelo secondo Giovanni, e dunque anche l’originario Annuncio del nuovo regno, su cui quello venne costruito, non contenevano alcuna ulteriore informazione sulla fine di Jehohanan.
se poi Jehohanan è da identificare col Teuda, di cui parla Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche, come protagonista di una interpretazione pacifista e profetica del movimento degli zeloti, assieme al profeta egiziano, storicamente sappiamo che questo fu decapitato attorno al 44-46 d.C., effettivamente, come il Giovanni Battista dei vangeli sinottici, ma in battaglia dai romani, e non certo a seguito della leggendaria danza di Salomé.
Libro XX, V, 1: 97 Durante il periodo in cui Fado era procuratore della Giudea, un certo sobillatore di nome Teuda persuase la maggior parte della folla a prendere le proprie sostanze e a seguirlo fino al fiume Giordano. Affermava di essere un profeta al cui comando il fiume si sarebbe diviso aprendo loro un facile transito.
98 Con questa affermazione ingannò molti. Fado però non permise loro di raccogliere il frutto della loro follia e inviò contro di essi uno squadrone di cavalleria che piombò inaspettatamente contro di essi uccidendone molti e facendone altri prigionieri; lo stesso Teuda fu catturato, gli mozzarono la testa e la portarono a Gerusalemme.
quanto al passo in cui, invece, Giuseppe Flavio parlerebbe di Giovanni il Battista collocandone la morte un paio d’anni dopo la data presunta della morte di Jeshuu, ho già cercato di mostrare altrove che si tratta di una interpolazione nel testo da far risalire a Eusebio di Cesarea, nel IV secolo.
. . .
3. 3,28 Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: «Non sono io il Cristo», ma: «Sono stato mandato avanti a lui».
il primo di questi versetti è la ripetizione, che qui disturba un poco la linearità del discorso, di un concetto già espresso nella prima testimonianza.
. . .
4. 3,29 Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena.
anche questo versetto appare un’aggiunta, un poco incongrua, e quasi una specie di citazione dal Vangelo di Filippo, dove in un passo simile, a proposito della sposa mistica della camera nuziale, si dice: Ella può manifestarsi soltanto a suo padre, a sua madre, all’amico dello sposo e ai figli dello sposo: a costoro è permesso di entrare tutti i giorni nella camera nuziale.
. . .
5. 3,31b Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32 Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. 33 Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. 34 Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito. 35 Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. 36 Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.
la parte conclusiva del versetto 31 è una nota di commento alla prima parte, che riprende ed esplicita: Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; il seguito è una caotica e incoerente sequenza di commenti e integrazioni di origine diversa.
. . .
6. 4, 2 sebbene non fosse Gesù in persona a battezzare, ma i suoi discepoli.
la postilla tende a correggere l’affermazione, fatta qui – e del resto anticipata anche in 3 22 – che Jeshu battezzava. in tempi successivi questa apparve la prova di una inaccettabile subordinazione di Jeshu a Jehohanan.
. . .
7. 4, 9 I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
spiegazione evidentemente del traduttore greco: nel testo originario aramaico non c’erra bisogno, decenni prima, di spiegare una cosa così ovvia, che non lo era più dopo la diaspora ebraica dalla Palestina seguita alla sconfitta della rivolta contro i romani.
abbiamo qui un indizio preciso che L’annuncio del nuovo regno precede (e forse anche prepara) questa rivolta.
. . .
8. 4,22 Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23 Ma
si tratta, con evidenza, di una correzione che tende ad attenuare, se non a cancellare, quello che di profondamente innovativo contiene il resto del testo, e dunque non può essere considerata parte originaria e autentica:
Jeshu dice ai Samaritani, che avevano un loro santuario sul monte Gerizim, e quindi un culto diverso da quello dei sacerdoti di Gerusalemme, che non è importante il luogo nel quale si adora Dio, ma piuttosto il modo col quale ci si rivolge col pensiero a Lui; e dunque il suo messaggio è rivolto anche a loro.
un improvvido commentatore interviene a correggerlo, per ribadire che la verità appartiene al culto giudaico del tempio di Gerusalemme e che i Samaritani adorano ciò che non conoscono.
. . .
9. 4,25 chiamato Cristo: altra precisazione del traduttore greco, che del resto abbiamo già incontrato.
. . .
10. 4, 41 Molti di più credettero per la sua parola 42 e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
integrazione successiva che ripete il concetto, appena precedente, della versione originaria, per correggerlo dandone una nuova lettura, di tipo teologico: Jeshuu, l’agitatore, che prometteva l’avvento immediato del regno di Dio, diventa Gesù, che salva ilmondo col suo sacrificio sulla croce.
. . .
la frase finale sembra particolarmente adatta a chiudere la testimonianza, che tuttavia apparentemente continua con un passo ulteriore; ma affronterò questo tema a parte nel prossimo post.
2 risposte a "Jeshu e i samaritani. terza testimonianza. – L’annuncio del nuovo regno, secondo i seguaci di Jeshu 6 – 369"