risolto il giallo dello Spennacchietto – 460

Spennacchietto, il galletto padovano dall’acconciatura rasta e dalla identità sessuale incerta, visto che non lo si è mai visto montare una gallina e non ne ha fecondata nessuna neppure accoppiandosi lontano da occhi indiscreti; le tre faraone femmine, con le loro escrescenze violacee da dinosauro, sul becco, le uniche rimaste dopo la fuga del maschio appena uscito dalla scatola nella quale lo avevo acquistato alla fiera, e sempre isteriche; la tacchina ancora giovane, sopravvissuta al cambio di recinto nel quale morì misteriosamente il suo compagno maschio, la prima notte…

erano gli abitanti del recinto all’aperto, con rete sovrastante, a protezione dal falco che aveva già cercato l’anno scorso di portarsi via una gallina, e con l’arrivo dell’autunno ho deciso di trasferirli nel pollaio principale, che dà l’accesso di notte ad un locale coperto, dove possono stare più riparati dalle piogge e dai prossimi freddi; e ora che è passata la domenica e sono tornati in città  i nipotini, che ci si divertono parecchio, l’operazione è stata fatta.

a proposito: la più appassionata è Carmen, l’ultima arrivata, di un anno e mezzo, che ha deciso che io sono il nonno cocò, che credo voglia dire, nella sua lingua, il nonno delle galline; e deve pur distinguermi, visto che ha la bella fortuna, rispetto a me che non ne ho conosciuto neppure uno, di avere a disposizione non due nonni, ma tre, perché bisogna calcolare anche il nuovo marito della mia ex-moglie; ed è innamorata, la Carmen, di Chico, il gallettino adolescente, assolutamente senza coda, e dunque molto simile ad una palla con le zampe e una testa, che è assolutamente domestico, per via di chissà quale imprinting degno di Lorenz, creato inconsapevolmente da me, quando l’ho estratto dall’incubatrice e accudito appena nato (quest’anno nessuna chioccia ha voluto covare le uova), e lui si lascia prendere in braccio e accarezzare, mentre la bimba pigola a sua volta tenerissima chiamandolo per nome.

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spostati i volatili, ho controllato che non ci fossero problemi all’accoglienza da parte delle tre anatre e del diverso altro pollame regolarmente residente: chissà se i due galli adulti che lo avevano ridotto in fin di vita a primavera, costringendolo a isolarlo nel recinto a parte, si erano dimenticati del mobbing feroce a cui lo avevano sottoposto, fino a ridurlo in fin di vita in un paio di settimane facendogli una grossa ferita a beccate sulla schiena; e lo avevo tolto dalle loro grinfie e rinchiuso a parte, proprio per quello, riuscendo però a salvargli la vita con una lenta e laboriosa ripresa; ma sembravano tranquilli: solo le faraone hanno urlato un bel po’, proprio loro che venivano da fuori, forse per la sorpresa dell’ambiente nuovo, pur se abbastanza familiare, visto che il loro recinto era soltanto a due metri da questi; ma non c’è problema, strillano sempre: basta che passi un cane per la strada o che io mi affacci sul sentiero, e non ho ancora capito se mi chiamano per la pastura o se hanno paura, o per tutte le due motivazioni assieme.

ma la mattina dopo la tacchina era scomparsa, e qui si affacciavano le ipotesi: prima di tutto siamo portati a sospettare degli uomini, e il vicino bisbetico, quello che bestemmia e sputa per terra ogni volta che mi vede, e che bofonchia che cojoni quando le faraone eccedono nei loro gargarismi vocali, è stato il primo iscritto dall’istinto nell’elenco mentale degli indagati: però la ragione ha detto no: rompiballe sì, ma onesto, soprattutto verso gli animali da cortile.

e allora, piuttosto, la faina? era apparsa sul tetto del pollaio a primavera e una volta l’avevo sorpresa dentro, mentre si ciucciava le uova; ma se poi non aveva dato più segni di vita! metti però che, finite le uova, per il cambio penne autunnale, avesse dovuto rassegnarsi a combattere con una preda più grande…; ma come avrebbe potuto un animale piuttosto piccolo portarsi fuori dal pollaio un uccello più grosso di lei, senza lasciare neppure una piuma in giro?

la volpe piuttosto, che ha già fatto strage  nel pollaio del Mario, duecento metri più sotto: capacissima di arrampicarsi sui due metri di rete metallica, visto che per errore l’ho messa rigida, e di trascinarsi fuori la vittima finendola nel nido per i piccoli (ammesso che almeno lei ne abbia messo al mondo in quest’anno climaticamente strano)…, ma mancavano ancora almeno alcune piume in giro, da consegnare ai RIS di Parma per le indagini, eventualmente…

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giornata trascorsa tra vaghe ipotesi, comunque, dopo che anche una esplorazione dell’interno del pollaio non aveva dato frutti, ma rapida, visto che pioveva; e dunque ci stava anche che la tacchinella avesse scelto la libertà, raccogliendo tutte le sue forze per volare fuori dal recinto, come del resto fa tutti i giorni l’anatra femmina, che poi rimane a gironzolare lì attorno, come la stupida che è, perché non è capace di fare altrettanto per rientrare; e tutte le mattine mi tocca correrle dietro per riportarla alla porta spalancata, e mentre cerco di fare entrare lei, escono tutti gli altri, benedetto cielo; eppure anche questa soluzione del giallo non mi convince.

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foto di Silvano, in visita al mio pollaio

ma il giorno dopo all’appello manca anche Spennacchietto, appunto; e qui lo scenario vira appunto deciso verso il giallo di un rapimento omicida, con due candidati che si contendono il delitto nella mia mente: il vicino, che avrebbe scelto le due prede più in carne, e la volpe, ma sempre meno quotata come colpevole, perché non ha senso trascurare i pollastrelli piccoli, per ingolfarsi in un corpo a corpo con bestie tanto più faticose da uccidere; ma allora, che fare, se mi sterminerà il pollaio con una vittima per notte? metterci una telecamera se davvero qualcuno dei vicini si è messo a farsi i brodini con i miei polli?

ma l’indomani e il giorno dopo non risultano altri pollicidii nella notte; vero che ho un colpo al cuore per la sparizione proprio dell’adoratissimo Chico – e chi lo dice adesso alla Carmen? -, ma dopo una mezzoretta ricompare, chissà dove si era nascosto, e io tiro un respiro di sollievo, che non impedisce qualche rimuginio ulteriore; avrei bisogno urgente di Camilleri per districarmi tra questa mancanza assoluta di indizi mafiosi…

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ma oggi, secondo giorno di bel tempo, devo portare nello stanzone del pollaio un sacco di pane secco comperato, per il rito quotidiano di sbriciolamento delle pagnotte dure con le scarpe, mentre i miei pennuti, diventati di colpo sprezzanti del pericolo, mi si affollano tra le gambe, incuranti del rischio che la testa gli rimanga schiacciata sotto il mio tallone degno di Jack London (allusione al Tallone di ferro, per chi non l’avesse capita).

è l’occasione per un riordino veloce e l’asporto dei sacchetti di letame da polli che mio figlio ha raccolto nelle pulizie del mese scorso; e proprio allora, rannicchiato dietro il sacchetto che cosa scopro? il cadavere di Spennacchietto.

nessun dubbio possibile sulle cause della morte: la ferita riaperta nella schiena è molto più larga di quella di primavera; desta solo sorpresa che i due killer siano riusciti a produrla in una notte soltanto; o forse è rimasto ferito e agonizzante per un giorno ed è stato finito a colpi di becco susseguitisi per ore? evidentemente il padovano era oramai piuttosto anziano e forse per questo è stato meno capace di sottrarsi a questo massacro dettato dal razzismo di pollaio.

oramai le indagini sono finite, senza troppe complicazioni, e stranamente io non avevo pensato alla soluzione più semplice, ma soprattutto perché non mi aspettavo una morte così rapida a colpi di becco.

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non mi rimane che raccoglierlo, portarlo in fondo al pendio sulla scarpata che scende nel boschetto di prugni selvatici e buttarlo giù; ecco che il corpo si ferma un momento prima dell’ultimo salto, rimanendo visibile con le sue piume arruffate di colore aranciato; non lo seppellisco perché so già che sarà una risorsa per altri animali, a cui risparmio la fatica di scavarlo fuori dalla fatica che farei a interrarlo.

ma al ritorno al pollaio scopro subito anche la tacchina, semisepolta sotto un asse che sembra esserle caduta addosso, e perfettamente mimetizzata col fondo fangoso del recinto: ma non ci sono ferite evidenti; che strana maledizione hanno i miei tacchini che sono morti entrambi, senza visibili segni di violenza, la notte dopo essere stati spostati da un luogo ad un altro.

riprendo anche lei e rifaccio il percorso, mi riaffaccio sopra il prugneto fitto, per buttare questa nuova vittima, e già il corpo di Spennacchietto non c’è più: è già passata la volpe a prenderselo; e allora, volpe affamata, prenditi anche questa tacchina morta giovane, come una qualunque migrante sul fondo del mare: non voglio più vedere questi occhi gonfi e bluastri, che non hanno nessuna domanda da farsi perché dietro di loro c’è un cervello da volatile, capace di dire la gioia di stare al  mondo con i suoi versi, fin che c’è, ma poco adatto alle domande sul senso.

tacchini

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che sono domande sbagliate, perché se c’è una morale in questa storia è che per gli animali da cortile ogni modifica dell’equilibrio del loro recinto è un trauma, che viene fatto pagare a chi arriva.

ma è una morale, questa? e poche cose sono più prive di senso delle domande sul senso di quel che succede, e gli animali del mio pollaio lo sanno, senza saperlo dire: loro uccidono, e non sanno perché.


3 risposte a "risolto il giallo dello Spennacchietto – 460"

  1. Ma sono tremendi i tuoi animali! Dagli un po’ di bromuro. Di questo passo dovrai fare delle gabbie singole…ma ogni tanto a qualcuno lo tiri il collo? Così, per dare l’esempio… colpiscine uno etc etc…

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    1. ahahha, che risata mi hai fatto fare.

      effettivamente tremendi, si: sono così simili agli umani…

      sarà per questo che non sono riuscito ancora a tirare il collo a nessuno e mi limito a mangiare le uova, quando arrivano, e a contare i morti di morte naturale, più o meno?

      però vuoi mettere che repertorio di storie mi pago con i 25 euro al mese di mangime? in fondo è come andare al cinema tre volte al mese…

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