Parma la discreta: accenno ad un ritratto. – 545

brevi appunti per una visita della città alla quale non potrò partecipare.

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«Il nome di Parma, una città dove desideravo più andare da quando avevo letto La Certosa, mi appariva compatto, liscio, color malva e morbido, se mi si parlasse di una casa qualunque di Parma nella quale sarei stato ricevuto, mi si causava il piacere di pensare che abiterei una residenza liscia, compatta, color malva e morbida, che non aveva relazione con le residenze di nessun’altra città d’Italia.»
Marcel Proust, La strada di Swann

Proust che parla di Parma, innamorato della città senza averla mai vista, semplicemente per averne letto nel romanzo che Stendhal le ha dedicato, La Certosa di Parma!

Parma che sarà capitale della cultura nel 2020 e vi si sta preparando riproducendo lungo le sue vie le frasi che personaggi famosi le hanno dedicato.

Ma, oltre Stendhal, molti sono stranieri, perché Parma forse è più famosa all’estero che in Italia, e qualcuno, come Stendhal, l’ha considerata il simbolo stesso dell’Italia.

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Parma e Giacomo Casanova, allora, che nella città visse una storia d’amore con una nobile francese, nota soltanto con lo pseudonimo di Henriette, che lui conobbe mentre lei fuggiva, travestita da uomo, dalla sua città, Aix-en-Provence; al momento dell’addio lei gli disse “Anche Henriette dimenticherà”, e lui fece incidere la frase sull’anello che le regalò.

Parma e Goya, che partecipò nel 1771, a 25 anni, senza vincerlo, ad un concorso di pittura indetto dalla città sul tema Il genio della guerra guida Annibale attraverso le Alpi; ed ebbe il secondo posto.

Parma e Napoleone, ovviamente, attraverso la figura di Maria Luigia Asburgo, la moglie, a cui venne assegnato il ducato dal Congresso di Vienna.

Parma e Stendhal, e dunque di nuovo un rapporto speciale con la Francia.

Parma e Charles Dickens, che la visitò nel 1844 e la descrisse nel capitolo 5 di Pictures from Italy.

Parma, e Giuseppe Verdi, che non può essere capito del tutto se lo stacchiamo dal carattere della città.

Parma e lo scrittore Alberto Bevilacqua, che nella città ambienta forse il più famoso dei suoi romanzi, La Califfa, ma anche Questa specie di amore e La festa parmigiana e ha tracciato un ritratto indimenticabile della Parma popolare nell’altro romanzo Una città in amore, del 1962, che racconta l’amore tra Guido e Amelia, nato “con un piccolo grido e con un morso di gioia dolorosa” e che si sviluppa, sfiorando il mito, tra il buio e l’umido dei borghi dell’Oltretorrente di Parma, nei tempi dolorosi della storia che vede l’affermazione del fascismo, ed è la storia vera di Guido Picelli, comunista, deputato, fondatore degli Arditi del Popolo, che organizzò e comandò un fronte unico di comunisti, anarchici, repubblicani e popolari che nel 1922 difesero Parma per cinque giorni contro l’attacco di migliaia di fascisti comandati da Italo Balbo. Nella guerra di Spagna nel 1937, comandante del Battaglione Garibaldi della 12a Brigata Internazionale del generale Lukasc, cadde a Mirabueno sul fronte di Guadalajara.
“Per Bevilacqua, Parma è il teatro ideale dove inscenare con la massima evidenza le passioni del nostro secolo, il luogo in cui si riflettono simbolicamente tutti i luoghi della terra in cui l’uomo è ancora uomo, dove ogni accadimento, ogni storia, ogni persona subito si colorano di leggenda e campeggiano in una dimensione epica”. Non a caso Parma è la patria del melodramma.

Parma e il regista Bernardo Bertolucci, che descrive nel suo film Novecento, Parte prima e Parte seconda un mezzo secolo di passioni politiche e di lotte sociali nelle campagne padane dalla morte di Verdi alla vittoria della Resistenza.

Ma il ritratto più azzeccato di Parma l’ha fatto Guido Piovene nel 1955 in una trasmissione televisiva della serie Viaggio in Italia; chi può cerchi di andare a guardarsela.
http://www.teche.rai.it/1955/03/viaggio-in-italia-parma/
Con Parma comincia la vera Emilia sensuale, pittoresca, estremista: fu infatti l’unica città italiana che si oppose attivamente al fascismo nascente con giorni di guerriglia urbana, in particolare nel popolare quartiere dell’Oltreparma nel 1922, come abbiamo visto; ma Parma ha caratteri diversi dalle altre città emiliane. È la più “francese”.
È una città edonistica, ma anche naturalmente indolente, che non si prende sul serio e fa tutto come sottotraccia; le piace sentirsi un piccolo mondo, sanguigno e ironico nello stesso tempo, trasgressivo, ma segreto: è come se vivesse i suoi impulsi tradotti in musica, in tono melodrammatico, ma senza prendere mai il dramma troppo sul serio, e quindi vivendo sempre al confine della commedia.

La tradizione gastronomica, la straordinaria opera scultorea e architettonica di Benedetto Antelami nel Duomo e nel Battistero;
i Farnese e la loro reggia;
i grandi pittori rinascimentali Correggio e il Parmigianino;
Giuseppe Verdi;
il regista di fama internazionale Bertolucci e il suo grande film Novecento,
che non potrebbero esistere, se la città non fosse questo mix insostituibile di gastronomia, musica, erotismo, spirito internazionale e sensuale indolenza.

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integrazione del 10 dicembre.

sono particolarmente lieto che questi rapidi appunti abbiano in qualche modo sollecitato la nascita di questo bellissimo post sulla città:

https://zariele.wordpress.com/2019/12/10/pramsa/
Pramsà.
DICEMBRE 10, 2019 · 7:13 AM

Inverno. Fra poco è Natale. Fa un freddo barbino. Tira un forte vento di tramontana. C’è aria di neve. Viene giù dalle montagne. Le cime bianche quasi si vedono se fai correre lo sguardo lungo Strada Nino Bixio, fino a Barriera, dove le case diradano. A dir la verità, si vedono meglio in primavera, quando l’aria è trasparente. Forse anche da qui, da dove mi trovo adesso si potrebbero vedere, se strada Bixio, dopo un inizio diritto come un fuso, a un certo punto non facesse quella grande esse che costringe il filobus e le poche auto a ridurre la velocità. Ti conviene fare attenzione, se in quel punto non rasenti i muri come un ladro, corri il rischio di essere stirato, a mo’ di manifesto Credevo che il mio grembiule fosse bianco, ma quando ho visto il tuo….

Venendo da Piazza Corridoni, senza avere memoria di come ci sono arrivato, né per quale motivo, vedo in lontananza, al civico 34, una stretta porta aprirsi. Si trova gomito a gomito con la porta di una piccola bottega d’arrotino, nella stessa casa. Una contruzione a tre piani di almeno cinque secoli fa. La più smilza del tratto che arriva fino alla pasticceria Belli. Quella dove le paste sono grandi il doppio delle altre. Mi avvicino, sono a pochi metri dalla porta. Improvvisamente sbuca un bambino. Se la tira dietro sbattendola. Potrebbe avere sette anni. Forse meno. E’ scuro di capelli, lo sguardo malinconico. Ha il bavero del paltoncino di panno peloso alzato per proteggere le orecchie a sventola dal freddo. Roba da geloni! I nostri sguardi si incrociano per una frazione di secondo. Lo riconosco. Lui, invece, no. Poi attraversa rapido la strada. Lo seguo con gli occhi. Si mette a saltellare e poi correre al galoppo, dandosi una pacca sul sedere, come fanno i bambini. Dopo un centinaio di metri, si infila dentro un grande portone, di giorno sempre aperto. In fondo ci sono i bagni pubblici. Di certo va a farsi la doccia, come ogni settimana. Perché si contano sulle dita di una mano le case del torrente che possiedono un bagno. E’ già tanto se hanno il cesso alla turca. E, come se non bastasse, questo si trova quasi sempre fuori, esposto alle intemperie come una garitta. A sbalzo sui balconi che guardano le piene del Parma. Che, l’inverno, dopo le piogge, trascinano con sè di tutto: cose, animali, e sentimenti. Se oggi scappa la pipì c’è da rimanere congelati. Meglio farla come di notte: nei vasi in camera da letto.

Mi fermo un momento a osservare il mondo intorno. Quante cose mi tornano alla mente. Di fianco al portone dei bagni pubblici, c’è il tabaccaio, dove la gente compra le sigarette sciolte, le caramelle di tamarindo, e i ragazzini le gomme da masticare. E’ proprio all’angolo con… via della Costituente, se ben ricordo. Sull’angolo opposto, invece, c’è il cinema Ducale. La sua facciata, però, non disegna un angolo retto: è curiosamente tondeggiante. Un cinema molto moderno per i tempi, con i secondi posti a gradinata che si congiungono, in apparenza democraticamente, con la platea dei privilegiati. Così, se davanti c’è un bifolco col cappello in testa, anche un nano non corre il rischio di perdersi la scena madre del film. E’ un cinema dove danno sempre tanti begli spettacoli. In estate fanno le settimane a tema: cè quella della fantascienza, dei vampiri, della guerra, dei film di cappa e spada, Stanlio e Olio… E, di tanto in tanto, dopo il film, c’è pure il varietà, con le sue ballerine, dalle gambe ben tornite, che cantano ammiccando. Regalano baci a dritta e a manca, e sculettano a più non posso. Ad un certo punto guardo l’orologio: sembra che sia trascorsa una vita da quando mi sono fermato. Ed ecco che dal portone risbuca il ragazzino di prima, tirato a nuovo, coi capelli ancora bagnati: i phon sono ancora di là da venire. Roba da prendersi un accidente e stare a letto una settimana! L’è mej acsì, dicono i vecchi, sa t’mor brisa, dop at d’venti pu fort! Senza pensarci, grido d’istinto: – Hei, tu, come ti chiami? Lui si gira di scatto: – Mi chiamo Gabriele!, risponde, guardandomi un po’ sorpreso! – Anch’io, mi chiamo Gabriele! gli dico, accennando un sorriso malinconico.

Il breve, ma intenso omaggio che alcuni giorni fa un mio compagno di rete ha dedicato a Parma, mi ha fatto tornare all’improvviso indietro negli anni. E , oltre a ricondurmi in luoghi a me cari, mi ha portato a riflettere su vizi e virtù di quella che considero ancora la mia gente, nonostante me ne sia andato che avevo dieci anni. Quanto sto per dire, quindi, non ha la pretesa di essere una descrizione distaccata e oggettiva dei tratti dominanti dei parmigiani. E’ piuttosto l’idea che mi sono fatto di loro nei pochi anni che ho vissuto nella città dove sono nato. Prima che gli avvenimenti mi sradicassero e mi spingessero alla volta della metafisica Ferrara. E, in seguito, all’età di sedici anni, mi portassero ad approdare nell’ industriosa Milano.

Nel bene e nel male Parma, per me, è stata, fino alla soglia degli anni ’80, la città più “aristocratica” e raffinata dell’Emilia. Se dovessi riassumerne in poche parole il carattere direi: Parma è una delle città più consapevoli e orgogliose della propria identità storico-culturale. Anche se lo fa con discrezione. Senza vantarsene. E non c’è bisogno che stia qui a tirare in ballo Maria Luigia, il bel canto, Giuseppe Verdi, il Teatro Regio e Stendhal.

Ho sempre considerato i parmigiani : cordiali, generosi, schietti e genuini, soprattutto i ceti più umili. Da cui ho appreso il significato del termine nobiltà d’animo. Erano persone che univano dignità ed eleganza nei modi, anche se con le pezze al culo. Perfino i borghesi, erano tendenzialmente molto alla mano. Per niente esibizionisti. Nemmeno quelli di fresco conio. Insomma, l’esatto contrario degli sboroni, per dirla alla francese. Spesso caustici come la soda, specie i vecchi, grazie ad un’ironia pronta a tramutarsi alla prima occasione in feroce sarcasmo, erano rapidi tanto nella battuta sanguigna e divertente, quanto nella stoccata corrosiva come acido muriatico. Ma al tempo stesso i parmigiani erano capaci di prese di posizione anticonformiste e slanci di altruismo che raramente ho riscontrato altrove. Forse proprio per questo li ho sempre considerati individui da prendere con le molle. Dietro la loro immediatezza, bonomia, spontaneità e generosità, nascondevano aspetti alquanto spigolosi. Da maneggiare con cura. Perché l’indole dei parmigiani, almeno fino a tutti gli anni settanta, era tutt’altro che tranquilla. Capaci com’erano di trasformare, al primo sgarro, ingiustizia, o parola fuori luogo, un’apparente mitezza in rabbia esplosiva. Pronti a passare con la rapidità del fulmine dal semplice, quasi affettuoso, va a cagher al più aspro rimprovero. Insomma, dal complimento all’insulto, su su, fino alla maledizione eterna. Manifestazione intensa, vibrante, appassionata come un vigoroso do’di petto, di un temperamento per niente accomodante. Una volta i tipi con questo carattere venivano definiti con un semplice, eufemistico: l‘è propri n’originel ! Ma quello che più apprezzavo in loro era di essere persone serie (oggi si direbbe reliable) che però non si prendevano mai troppo sul serio. Orgogliosi delle loro qualità, consapevoli della loro differenza, erano capaci di grande critica e autocritica. Di scherzarsi addosso, come dico io. Non se la tiravano mai. Ben consci che accanto agli splendori e alle virtù convivono sempre, inevitabilmente – e per fortuna – i difetti e le miserie. Altrimenti, sai che noia la vita!

Tornato dopo parecchi anni di assenza a ripercorrere i vecchi luoghi e le antiche strade per assistere mio padre malato, ho ritrovato, ahimè, una città radicalmente cambiata. La prepotente industrializzazione. Barilla. Bormioli. Tanzi e la Parmalat (prima dello scandalo). Gli onori delle cronache per qualche giallo rosa. I successi della squadra di calcio. L’inurbamento di parmensi un po’ zotici e ignoranti, ponti a cogliere gli aspetti più utilitaristici e prosaici della modernità e scapito delle buone maniere e delle sane tradizioni. Insomma, i parmigiani non erano più quelli di prima. Quelli che avevo lasciato. Si erano montati la testa. Si dirà: come dappertutto. Certo, ma questo non basta a mitigare la mia delusione. Il berlusconismo era riuscito, in meno di un decennio, dove il ventennio fascista aveva fallito. Nonostante che Italo Balbo – dopo i maldestri tentativi del muscolare Farinacci, e la timidezza del regio esercito – avesse travolto in pochi giorni le barricate, il fascismo non riuscì mai a cambiare la vera natura dei pramsà. Il berlusconismo si. E questo prima che la globalizzazione dilagasse.

barricate_di_parma_lerezione_in_via_bixio-1

Agosto 1922. Strada Nino Bixio. Le barricate contro i fascisti. Se qualche altra città avesse seguito l’esempio di Parma, probabilmente i fascisti non avrebbero alzato la cresta, gonfiato il petto, e fatto la marcia su Roma. Se.

 


6 risposte a "Parma la discreta: accenno ad un ritratto. – 545"

  1. Bell’omaggio alla Parma che è stata.
    E non è più. Contaminata dal forzismo, ha perso gran parte della sua natura.
    Lo dico perché ci sono nato (nelle case che si affacciano sulla “piccola Senna”) e, se anche me ne sono andato all’età di dieci anni, ho mantenuto costanti contatti con la città e i pramsà.
    Che sono rimasti in pochi.
    Oggi, forse, solo un ricordo.

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    1. ecco, la Parma a cui accenni tu assomiglia molto di più a quella che intravvedo dagli accenni di mio figlio (vedi sotto il commento a giomag): ma qual è il ruolo di Pizzarotti in questo contesto?

      grazie anche del tuo commento: sono pennellate che si aggiungono ad un ritratto, rendendolo sempre meno sfuocato…

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  2. Sono molto affezionato a Parma, ci ho vissuto cinque anni, ero giovane ed allora ne apprezzavo gli aspetti più “goderecci” (il cibo in primis), ora sicuramente ne apprezzerei molto di più le bellezze architetturali e storiche…
    Parma per me era biciclette, grandi spazi verdi, belle ragazze, una città che ancora si sentiva orgogliosa dell’eredità ducale… la erre francese… la musica, la cordialità un po’ sorniona, la spalla cotta ed il prosciutto… la Cittadella con i suoi bastioni pieni di gente che corre..
    Mi hai fatto venir voglia di tornare, l’ultima volta sono andato per un’occasione triste, un amico in meno.
    Mi era sfuggito che l’anno prossimo fosse Parma la capitale della cultura, penso che lo meriti, indipendente dalle amministrazioni…

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    1. anche mio figlio ha studiato a Parma cinque anni (università, ovviamente); ma non me ne ha mai parlato in termini entusiastici, anzi forse semmai piuttosto critici.
      il ritrattino in poche parole che ne hai fatto tu è fatto di poche pennellate efficaci, meriterebbe di entrare nel ciclo di citazioni sulla città, perché è altrettanto vivo.
      io non so come sia stata davvero Parma e neppure la conosco oggi, probabilmente si è imborghesita e rattrappita un po’ come tutta l’Italia, paese irriconoscibile oramai rispetto a quello dei miei anni migliori; così come non so valutare Pizzarotti e le ultime scelte amministrative: certo, ci risparmia la destra becera, almeno: anche in questo Parma potrebbe farci da modello ed essere un poco più avanti del resto d’Italia, come sempre nella sua storia?
      se ci torni (non certo per merito del mio ritrattino un po’ stentato), auguri di ritrovare la Parma che ricordi!

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      1. A tuo figlio non è piaciuta molto Parma?
        Forse un po’ troppo borghese, disincantata, in effetti forse la meno emiliana delle province.
        Ma io non studiavo, lavoravo, e venivo da un paesino, e quindi guardavo tutto con occhi stupiti e meravigliati…
        Certo oggi è cambiata, almeno quanto sono cambiato io, si vedono dei servizi su aree di degrado che a quei tempi (1982-87) non si sarebbe nemmeno immaginato.
        Ma la bellezza, almeno quella resta, spero.

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        1. la bellezza di Parma risponde sempre alla cifra globale della discrezione, spezzata solo dai due grandi complessi del duomo + battistero romanici e della reggia Farnese, che bene simboleggiano, ai due poli opposti della città storica, una vistosa divisione di poteri, che anticipa Cavour e le teorie liberali della libera Chiesa in libero Stato.

          sì, a mio figlio non piaceva troppo proprio per i motivi che hai detto tu: probabilmente si trovò già a vivere nella nuova Parma che stava nascendo e non era troppo vicina a quella di cui ho abbozzato qui sopra questo ritratto impressionistico.

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