parlo solo ogni tanto dei film che vado a vedere: non aspiro a fare da critico cinematografico, non ne ho le competenze, e dunque, quando lo faccio, ci deve essere un motivo speciale.
per quel che riguarda The irishman, di Scorsese, potrei dire di essere andato a vederlo con qualche dubbio per la durata: tre ore e mezzo di film, non rischiavo di annoiarmi? e invece no, non c’è stato un attimo di respiro, mai il tempo di dire: si sta facendo tardi…
e questo a me pare decisamente un record da sottolineare.
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il secondo motivo di incertezza è che si tratta di un film di gangster, come si sarebbe detto una volta, nel senso che è ricavato da un libro, I Heard You Paint Houses, Ho sentito che tinteggi case, che raccoglie le confessioni di un vecchio appartenente alla mafia italo-americana, l’irlandese Frank Sheeran, rese a un giornalista pochi mesi prima di morire, in cui si dichiara autore, per conto della mafia, ma anche del sindacato dei camionisti americani, a seconda dei casi, di diverse decine di omicidi, tra cui il più importante sarebbe stato quello di Jimmy Hoffa, il potentissimo fondatore di quel sindacato, diventato nel frattempo anche suo amico personale.
ora, la confessione, anche se fatta senza costrizioni, non è di per se stessa una prova, senza altri riscontri, e a maggior ragione quella di un vecchio, che può avere la memoria confusa, oppure avere voglia di rendere la sua vita più interessante di quello che sia effettivamente stata, al momento di lasciarla.
ma questo non interessa al regista, e dunque non interessa neppure a noi, che alla fine usciamo dal film senza sapere se abbiamo assistito a una fiction o a una ricostruzione storica; e anche questa confusione dei generi è un fatto curioso.
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e comunque The irishman parla di gangster, ma non è veramente un film di gangster: ci sono gli omicidi, e quindi anche i colpi di pistola, ma nessuna sparatoria vera e propria, nessuna trasposizione dello schema narrativo dei western, con la celebrazione della violenza e dell’omicidio come prova virile, che è così tipica della cultura americana: qui gli omicidi sono qualcosa di brutale, come è ovvio, ma anche di obbligato, il frutto di qualche costrizione a cui non si può sfuggire, e hanno dunque qualcosa del senso tragico della vita dell’antica Grecia: solo in un caso la violenza assume il carattere di una esibizione di forza, ed è quando il protagonista schiaccia la mano di uno che ha fatto uno sgarbo alla piccola figlia, sotto il suo sguardo terrorizzato.
ma con questo siamo entrati forse nel tema centrale del film che è la tragicità della vita e l’inevitabilità del male: il gangster non è un superuomo, è anzi un uomo più debole degli altri, nonostante la spietatezza, e più sottoposto ai ricatti della vita.
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ma allora The irishman è un film storico, sia pure di fantastoria, forse?
neppure, anche se la storia c’è: il coprotagonista, che è Jimmy Hoffa, fu un personaggio centrale della storia americana per vent’anni, e dunque risulta coinvolto in diversi momenti di quella storia, dall’elezione di Kennedy, allo sbarco della Baia dei Porci a Cuba, col tentativo fallito di riprendersi il controllo dell’isola, fino alla lunga lotta che lo oppose al fratello del presidente Kennedy, Robert, che cercava di incriminarlo, e all’omicidio stesso di John, che nelle dichiarazioni di Sheeran, in un brevissimo accenno, viene attribuito al suo ambiente.
eppure questa storia non è analizzata da un punto di vista storico, se mi si lascia passare il gioco di parole: rimane l’espressione di una categoria a-storica, che è quella dell’ineliminabilità del male, della politica come obbligato scontro di potere, della volontà di potenza e dei suoi guasti.
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senza essere un film storico, questo, allora, è piuttosto un film filosofico sulla storia: una demistificazione atroce e dire definitiva del mito della democrazia americana, ma direi di ogni democrazia parlamentare, che viene descritta nel suo fondo oscuro di illegalità, delitti, corruzione e lotta per il denaro.
film da proiettare nelle scuole per documentare, meglio ancora che col lontano Machiavelli, di che lagrime grondi e di che sangue anche il potere che si definisce democratico.
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ma forse The irishman è soprattutto un film psicologico.
ammetto che questa interpretazione, più che originale, potrà apparire bizzarra, ma io l’ho visto anche come la storia di un rapporto tormentato tra un padre e sua figlia, che non arriva mai a conoscere pienamente i delitti del padre, ma li sente, e questo la porta a rifiutarlo; e non è un caso che nel tentativo di spezzare questo rifiuto e di recuperare un rapporto con lei, il protagonista consuma le sue ultime energie, invano.
ecco: l’immagine della figlia, che Frank perderà come figlia, è come il contraltare della sua vita delittuosa, che lui giustifica con la necessità tutta mafiosa i proteggere la propria famiglia, ma che invece lo porterà a perderla.
questa presenza nascosta corre attraverso tutto il film e ne approfondisce la dimensione tragica, ma restando sempre in secondo piano, come uno sfondo che non sempre si vede…
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ma allora The irishman come film non appartiene a nessun genere?
anche questo è vero: c’è una pluralità di generi possibili che lo attraversa, ma nessuno che prevale sugli altri.
e io ce l’ho la spiegazione di questo strano stato di cose, che colloca The irishman nella categoria dei capolavori assoluti della storia del cinema: è semplicemente un film epico:
l’epica della famiglia, della storia, del gruppo che combatte contro gli avversari, dell’uomo che combatte invano contro la vita, credendo di poterla vincere e che alla fine si scopre sempre battuto dalla malattia e dalla morte.
Terrò conto della tua recensione e me lo segno come film da vedere la prox estate nelle arene estive.
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spero che piaccia anche a te 🙂
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