naturalmente ieri sera, finita l’oretta di recupero, che ho impiegato per il blog, sono uscito di nuovo, convinto che avrei fatto soltanto due passi per andare a mangiare e poi sarei tornato di corsa a dormire, considerando che erano 14 ore che mi ero alzato dal letto; cosa che ho fatto, naturalmente, intendo la cena, con una abbondantissima e in fondo economica pasta al salmone – verso le sei del pomeriggio, ora di qui, qui le cinque per noi – in un ristorante dietro Syntagma, la piazza centrale di Atene, a due o trecento metri dal mio ostello.
ho mangiato all’aperto; i bracieri, che si usano di solito in questi casi, erano spenti; la serata era limpida, e il giaccone di troppo: me lo sono tolto – nota che appartiene alla serie delle lugubri osservazioni sull’effetto serra, come quella che anticipo su qualche papavero già fiorito ai piedi dell’Acropoli e visto oggi.
ma la cena, che era anche il primo pasto del giorno, dopo la frettolosa colazione fatta a casa prima della partenza, mi ha rimesso in sesto e non avevo nessuna voglia di tornare all’ostello a dormire.
così sono tornato nella piazza, anche per comperarmi da bere; e c’era un’installazione luminosa di cui potevo leggere in greco Agape, cioè amore, e stereotypa, che manco va tradotto, ed è una parola che hanno inventato loro…
quindi mi sono immerso nel Plaka, il quartierino detto anche degli Dei, un poco bohemien e molto suggestivo; lo già avevo scoperto nel precedente viaggio ad Atene (quello funestato dallo sciopero generale degli addetti ai musei); ricordavo una stradina che saliva tra vecchie case alle spalle dell’acropoli, e l’avevo vista di giorno; l’ho ritrovata, era quasi deserta, a parte due pope, che camminavano con un’aria meditabonda, ma senza parlare.
ma quando sono uscito anche dal quartierino, inoltrandomi per la strada buia e del tutto solitaria, di notte la vista era ancora migliore.
l’acropoli, vista da qui, poteva parere una qualunque fortezza, forse perfino turca, ma il gioco delle luci era così straordinario che non ho potuto fare a meno di mandare a figli e molti amici, via whatsapp, questa foto, che a me sembra da poster: con qualche lamento di invidia, arrivato all’istante.
già, perché whatsapp ha completamente cambiato il senso stesso del viaggio (almeno fino a che funziona, più avanti vedremo…): noi viaggiamo, oggi, tenendoci per mano, virtualmente, con le persone a cui vogliamo bene, e condividiamo con loro le emozioni più importanti con quel modo di straordinaria intensità che è lo scambio di immagini e suoni, a volte persino combinate fra loro.
il vecchio viaggio in solitaria che era anche un pellegrinaggio nel proprio io, racchiuso dal silenzio, si è trasformato in una specie di missione all’estero che conduco, io pensionato oramai free, anche per conto loro, pur sempre inchiodati al lavoro, più o meno gratificante che sia, oltretutto.
. . .
sono rientrato a malincuore, e ho scoperto di avere subito dei problemi da risolvere: ho dovuto occuparmi subito del primo, emerso dai segnali di allarme del netbook, alla fine del post, prima che uscissi: la batteria è quasi scarica, collegarsi alla rete: ma come farlo, se la presa ha solo due buchi per le punte e il caricabatteria ne ha tre?
in poche parole, ho dimenticato a casa la riduzione universale, indispensabile per far funzionare tutti i miei apparecchi elettronici e strumento essenziale di ogni viaggio in terre lontane, che oramai risultano esotiche soprattutto per la diversa forma delle prese di corrente, paese per paese; non è del tutto colpa mia, visto che era nella valigia già pronta che preparo alla fine di ogni viaggio per il successivo, in modo da fare tesoro delle esperienze passate, ma non sono più riuscita a ritrovarla, caduta vittima evidentemente del trasloco; e pensare che mia figlia mi aveva già chiesto se l’avevo presa, la presa, e io non ho avuto la prontezza (ma neppure lei) di chiederle se mi prestava la sua.
ma per fortuna il ragazzo che fa il turno di notte alla reception mi presta la sua, chiarendo bene che è personale e che devo restituirgliela; fiducioso risalgo e collego tutto; subito dopo, ecco il crollo improvviso: tanto nella camerata a sei letti non c’è nessuno, riesco ancora a fare la base del letto, a chiudere la finestra dietro alla mia testa che qualche fanatico si ostina a spalancare per il caldo! poi mi tolgo le calze e faccio solo in tempo a stendermi.
. . .
la sorpresa sarà la mattina: la riduzione non fa presa nella presa, per dir così, e il pc è scarico come la sera prima; non importa, rinvio il problema al rientro (poi vi dico come l’ho risolto, evidentemente, visto che sto scrivendo); esco subito, nella mattina chiara: l’arco di Adriano è a due passi dall’ostello, e le prime luci del giorno lo ritagliano nel cielo.
una colazione, con aggiunta di gelato alla cioccolata, che lascia a bocca aperta la barista, ma contribuisce evidentemente allo stato euforico delle ore successive; risalendo riesco ad orientarmi ad occhio (sono senza guida) e arrivo all’ingresso dell’acropoli, che avevo localizzato e memorizzato in internet: siamo ancora in bassa stagione e il biglietto di ingresso è ridotto al 50%, buona notizia per il mio budget.
è ancora piuttosto presto e c’è ancora pochissima gente e, anche chattando qua e là e mandando altre foto in giro per il mondo, io mi godo quella straordinaria dilatazione dei tempi che ogni viaggio rappresenta; anzi, ho perfino l’impressione che parlare mostrando dove cammino contribuisca ad allungare la durata psicologica del tempo ancora di più.
ora faccio fatica a descrivere a parole; sono ancora ai piedi della collina, ma via via che salgo, godendomi una natura capace di parlare, ecco il sole che monta nel cielo e va ad illuminare laggiù anche il mare lontano; sotto c’è un grande teatro, costruito dai romani; ma mi colpiscono le dimensioni davvero piccole di quello originario, quello ateniese, dove venivano recitate le tragedie che hanno fondato la nostra tradizione drammatica.
in fondo Atene fu una specie di Inghilterra dell’antichità (per il dominio dei mari di allora, ma non solo), che diventò tanto rapidamente insignificante, perché costruì il suo predominio sulla Grecia semplicemente attraverso alleanze, per loro natura fragili ed effimere, e non con uno stato unitario, che sarebbe stato impossibile; e so bene che,camminando qui, sto calpestando le radici stesse della nostra civiltà, non tutte da ammirare e condividere, ma pur sempre nostre.
ma non vorrei fare il professore, né il critico radicale ed estremista: questa parte lasciamola ad altri momenti; arrivo intanto alla porta di una fortificazione bizantina, che non sapevo che esistesse; come lontano alunno del liceo classico, questi luoghi hanno riempito alcune ore di studio della mia adolescenza: i Propilei, eccoli regolari, dopo quella stretta porta inattesa nel muro, il Partenone, l’Eretteo.
faccio foto un poco da cartolina, lo so; però qua e là vengono apprezzate; anche questa, dove si vedono due donne cinesi; sì, perché qui è pieno di cinesi, ce ne sono dappertutto, girano il mondo con lo stesso entusiasmo col quale una volta lo facevano gli italiani, l’unica differenza è che noi lo facevamo per cercare lavoro, e loro incuriositi dall’Europa, e sempre educati, discreti, misurati.
ma se il Partenone ha una grandiosità monumentale decisamente imperialistica, pura eleganza è l’Eretteo, che si discosta da lui ai suoi piedi, come per sfuggire alla sua ombra, e rappresenta, con la loggetta delle Cariatidi, un momento di riflessione più autentica.
. . .
la meta della discesa, che si rivela altrettanto ricca di immagini e di emozioni, è il nuovo Museo dell’Acropoli, che non esisteva al tempo della mia precedente visita di Atene: è una sorpresa incredibile, un’idea architettonica geniale, che ai piedi del Partenone ha costruito in vetro e cemento un contenitore perfetto del suo fregio, parte conservato nei resti autentici, parte in riproduzione perché rapinato nell’Ottocento da quell’altra Atene più grande che fu Londra e non più restituito.
no, le foto non rendono, anzi quasi impediscono che si trasmetta l’entusiasmo che qui, nelle immagini, è come se questo si spegnesse: è incredibile la ricchezza di resti che stata estratta da quella collina su cui è nata la civiltà europea in quel secolo breve in cui Atene dominò i traffici del Mediterraneo orientale e centrale.
. . .
all’uscita penso di concludere il giro tutto attorno all’acropoli; dall’alto ho visto un largo spuntone di roccia, dove si addensavano i turisti; la meta ora è quella.
Ci sono delle arance qua e là, e io stupidamente penso che le lasciate un turista. Non mi rendo conto no che cadono dagli albero
Comunque ne mangio una, è terribilmente aspra, ma mi dà forza.
Che sorpresas, arrivando, sapere che quello è l’Areopago, cioè la collina dove si amministrava la giustizia nel nome di Ares, il dio della guerra: il luogo dei principali processi politici di Atene; e qui fu condannato a morte Socrate per avere tentato di introdurre nuovi dei nella città, traviando i giovani, e per avere profanato la divinità della natura, studiandola.
. . .
ma lasciamo da parte ogni tentazione docente e scendiamo: in realtà le rocce sono piuttosto scivolose, due ragazze siciliane (solo italiani da Roma in giù ad Atene, in questi giorni, compresa una classe in gita scolastica) mi chiedono se le fotografo abbracciate sullo sfondo dell’acropoli: è un piacevole diversivo di un momento, ma poi devo riprendere la prudente discesa con le mie scarpe non proprio adatte, visto che quelle da ginnastica sono ancora in fondo allo zaino col formaggio grana per Sara nascosto dentro…; però, per fortuna, ecco adesso un percorso in cemento che riporta indietro senza problemi dall’estremità occidentale.
ed ora a Plaka per un meritato pranzo: un’insalata greca in una vecchia trattoria.
ora mi abbandono all’Atene minore: una piccola chiesa ortodossa qualunque, qualche rovina sparsa qua e là da fotografare da fuori, un museo che conserva un vecchio e modesto bagno turco: preferisco questo, per gusto della variazione, ma è veramente povero e spoglio, soltanto una curiosità sul passato ottomano di Atene.
ho promesso ad un amico che sarei andato a visitare il Museo Bizantino che a lui è piaciuto molto: del resto il vecchio Museo Nazionale, in programma originariamente e di cui l’altra volta potei vedere solo alcune sale sull’arte arcaica, non avrebbe più senso dopo avere visto la meraviglia del nuovo; ma al museo dell’arte bizantina arrivo soltanto cinque minuti dopo la chiusura, molto precoce, alle 16.
voi quindi dovete accontentarvi soltanto di questo normalissimo interno casuale di una chiesa bizantina del quartiere Plaka.
. . .
a questo punto della giornata, ammetto di essere un po’ stanchino, come diceva Forrest Gump, e un sonnellino abbioccato su una panchina dei giardini non me lo vieta nessuno.
in fondo Atene è una piccola piccola Roma: condivide la sua mescolanza di antico e meno antico, ma in modo meno massiccio, perché non fu mai la capitale del mondo di allora, ma soltanto una città egemone tutto sommato per tempo molto breve; e il suo lato meno antico non è la potenza cattolica che la fece per la seconda volta capitale mondiale, ma il ruolo infinitamente minore di una piccola città di provincia, di religione ortodossa, sotto l’impero ottomano.
. . .
scendono già le ombre del tramonto, rientro; come avevo già immaginato stamattina, quando non ho restituito la riduzione, le prese del soggiorno dell’ostello non avrebbe presentato problemi di incompatibilità con lei; tra un minuto finisce la ricarica del mio netbook ed io, che ho contemporaneamente concluso il mio compitino qui, potrò uscire a cena…
domattina si parte: scalo a Beirut, e meta Abu Dhabi, devo controllare gli orari dell’aereo; sono già stato alla stazione del metrò per controllare i tempi della prima corsa per l’aeroporto: speriamo che mi ci porti in tempo utile.
“noi viaggiamo, oggi, tenendoci per mano, virtualmente,…”
un inferno nell’inferno, insomma.
"Mi piace""Mi piace"
geniale, come tutti i pensieri da non condividere troppo… 😉
"Mi piace""Mi piace"
L’amico sono io? 🙂
Se no, comunque, condivido il suo pensiero: l’Atene bizantina, quando la città era solo un piccolo centro di periferia, mi è piaciuta assai di più di quella classica, come ho già avuto modo di dirti. È innegabile che l’Atene classica sia bella, però, non so perché… non mi ha detto niente.
"Mi piace""Mi piace"
sì, l’amico sei tu (sperando di non abusare del titolo), ma siccome sono giudizi che mi hai dato fuori rete, non ho voluto attribuirteli esplicitamente per discrezione.
ma ora che qui ti dichiari, riesprimo anche qui la mia differenza di percezione…; forse gli anni di classico e poi di lettere classiche all’università c’entrano qualcosa; ma è indubbio che ho sempre amato la Grecia antica, se non altro perché molto più viva e meno ingessata dei romani.
qui è ancora più toccante, per me, perché, a parte il gigantismo del Partenone, comunque un nanetto rispetto all’architettura egizia, assiro-babilonese e persiana, qui si tocca con mano quanto in fondo fosse fragile e modesta quella cultura.
aggiungo che l’Atene più bella è Plaka, cioè in ultima analisi il suo quartiere residuo bizantino; e qui il nostro giudizio, invece, coincide.
"Mi piace""Mi piace"
Che bellezza essere ad Atene..
Dimenticare la presa, va beh secondo me lo fai apposta per creare suspance 😀
Bellissimo percorso e le fotografie son tutte belle! accompagnate dal racconto lo sono ancor di più
ci si “rivede” ad Abu Dhabi
"Mi piace""Mi piace"
grazie, Marta, tra poco pubblico, in barba al cambiamento dei fusi orari che rende l’ora tardissima.
ma Abu Dhabi, per ora, soltanto dall’alto.
"Mi piace"Piace a 1 persona
L’anno scorso degli amici hanno fatto una crociera nel Mediterraneo, una delle soste era naturalmente Atene; vedere le foto di quella massa di gente sudata che scarpina per raggiungere l’Acropoli proprio mi aveva tolto ogni voglia di visitarla (oltre all’unanime giudizio sulla bruttezza di Atene); il tuo racconto mi rende più possibilista.
Il cappuccino con il gelato? Come in Sicilia, con la granita?
Ti avranno scambiato per turista tedesco… 🙂
"Mi piace""Mi piace"
la mia fortuna è stata di andarci alle 8 di mattina, all’apertura, in una giornata di nome invernale, di fatto primaverile, e di avere evitato le orde fameliche di selfie, anche se non del tutto, ma pur sempre sotto controllo.
non capirò mai le crociere, ma questo è un altro discorso; a mio modo di vedere la crociera uccide di per se stessa la bellezza di ogni città; Atene poi confermo che nell’insieme è brutta, ma con quelle vistose eccezioni che, a tempo e luoghi adatti, consigliano comunque di conoscerla.
se mi hanno preso per tedesco, hanno sbagliato di poco; oggi una libanese del resto mi ha chiesto se ero inglese, prova vivente che lei l’inglese non lo sa.
"Mi piace""Mi piace"