vittoria in Europa contro il diritto d’editore – 237

ieri è stata una bella giornata, e ce ne sono poche di questi tempi, perché il parlamento europeo ha bocciato la bozza di direttiva europea sul copyright predisposta da Oettinger e ha rinviato a settembre una discussione più approfondita.

ma sbaglio, oppure per il momento uno strano silenzio sul tema attraversa al momento la rete, che pure si era (abbastanza) mobilitata con le critiche?

eppure il tema è centrale per la sua stessa sopravvivenza, come l’abbiamo sinora conosciuta.

qui in discussione erano in particolare gli artt. 11 e 13: il primo fissa il diritto dei proprietari di un testo di ricevere un compenso per ogni riproduzione anche parziale (leggasi citazione); il secondo rende le piattaforme internet responsabili di eventuali violazioni del copyright, e dunque le costringe ad introdurre dei meccanismi automatici di controllo e censura.

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lo chiamano diritto d’autore, ma è soltanto un modo per abbellirlo: chi potrebbe essere contrario ai diritti dei poveri autori bistrattati?

ma il suo vero nome è copyright, diritto di copia, e tutela l’editore, che acquista e diventa il proprietario del prodotto, non l’autore, che, col diritto d’autore vero e proprio, partecipa ad una quota molto ridotta dei profitti realizzati dall’editore col copyright.

è strana la confusione tra i due concetti.

il diritto dell’autore di partecipare pro quota, come socio di minoranza quasi, ai profitti che l’editore realizza pubblicandolo è soltanto un aspetto minore della gestione economica della creatività e dell’attività intellettuale, e potrebbe essere sostituito da forme di tutela dell’autore più avanzate e meno favorevoli all’editore.

il diritto d’autore, infatti, è una specie di pagamento a cottimo, che sostituisce il pagamento integrale da parte dell’editore che decide di investire su un certo prodotto prima di metterlo sul mercato e serve soprattutto a diminuire il suo rischio, conservando però il pieno controllo del prodotto.

per questo il copyright riguarda in realtà l’editore e non l’autore.

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incredibilmente il Partito Democratico si è schierato, in questa battaglia politica, a favore della Direttiva, cioè del copyright degli editori, confermando di essere oramai senza riserve in Italia il partito del potere finanziario.

ma qui mi fermo e non serve che io scriva un post mio, perché un post sull’argomento così bello che io non avrei mai saputo scriverlo, c’è già, e col permesso dell’autore, vero? – o almeno spero -, io qui lo riproduco ammirato.

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Il copyright non è un diritto, è una minaccia per il futuro dell’Umanità

di

https://www.linkiesta.it/it/article/2018/07/03/il-copyright-non-e-un-diritto-e-una-minaccia-per-il-futuro-dellumanita/38652/

Nato per difendere per pochi decenni il diritto di riprodurre opere di singoli autori viventi, negli ultimi 30 anni il copyright è diventato un’arma in mano alle multinazionali dell’intrattenimento per rendere illegale il motore stesso della cultura umana: la condivisione e la reinvenzione

«La legge statunitense che regolamenta il copyright è stata riscritta in modo tale che nessuno potrà fare alla Disney Corporation quello che Walt Disney ha fatto ai fratelli Grimm». Basterebbe questa frase da sola, recitata nel 2002 da Lawrence Lessig, creatore di Creative Commons, davanti ai partecipanti della Open Source Convention per stabilire una volta per tutte che il copyright, per lo meno così come viene inteso oggi dalle legislazioni di mezzo mondo, non è uno strumento a favore della libertà di espressione e della crescita culturale dell’intera umanità, bensì l’esatto contrario.

La legge a cui fa riferimento Lessig è il famoso Digital Millennium Copyright Act, votato dal Congresso e firmato da Bill Clinton nell’ottobre del 1998, un decreto passato alla storia, però, con un nome molto meno didascalico, ma molto più aderente al significato del provvedimento: il Mickey Mouse Protection Act, la prima legge della storia brandizzata da una multinazionale privata.

Il decreto firmato da Clinton e fortemente voluto dalla stessa Disney, che ci arrivò dopo anni di lobbing, aveva uno scopo ben preciso: aumentava la protezione delle opere intellettuali da 75 a 95 anni dopo la morte degli autori, coprendo le proprietà intellettuali della Disney — un immaginario gigantesco e quasi interamente costruito sulle favole popolari europee — che in quel momento, a 70 anni di distanza dalla nascita di Topolino, rischiavano di diventare di pubblico dominio. Le storie che la Disney aveva reinventato stavano per ritornare patrimonio dell’Umanità e uscendo dal controllo di una multinazionale multimiliardaria che, proprio sull’esclusiva imposta sulle sue storie derivate, aveva fin lì coltivato il proprio impero.

Gli stessi autori che nel 1928 diedero alla luce Mickey Mouse chiamandolo Steamboat Willie, ovvero citando sotto forma di parodia “Steamboat Bill”, il lavoro precedente di Buster Keaton, 70 anni dopo si stavano battendo per una legge che avrebbe vietato quella loro stessa operazione. Un paradosso? Sì, oppure, più semplicemente, una legge ipocrita che tutela la proprietà privata delle idee e colpisce a morte la creatività umana proprio a partire dal suo principio di base: l’imitazione.

 

Ora forse fa quasi ridere ricordarlo, ma l’intera cultura occidentale, quanto meno fino all’avvento del Romanticismo, è sopravvissuta e si è affinata proprio grazie al cardine inamovibile del principio di imitazione, della copia, del riuso, della condivisione libera e reinvenzione dei saperi. Senza quel principio, tanto per dire, a nessun monaco sarebbe mai venuto in mente di mettersi a copiare codici per farli sopravvivere al proprio tempo e sostanzialmente niente di quanto creato, scoperto o inventato prima del medioevo sarebbe arrivato fino a noi.

amanuense

Cosa ci si poteva aspettare da una specie, quella umana, che ha costruito la sua emancipazione dalla natura sulla condivisione delle esperienze e sulla memoria collettiva, conservata proprio grazie alla replica dei racconti di generazione in generazione? D’altronde sono solo diversi millenni che viviamo la nostra esistenza culturale in un immaginario che si costruisce e costruisce la sua esistenza e sopravvivenza proprio sulla ripetizione dei pattern e delle storie.

Lo aveva intuito Vladimir Propp studiando le fiabe russe, ma anche uno come il professor Stephen Jay Gould, uno dei più grandi divulgatori del Novecento, che esattamente 4 anni prima della approvazione da parte di Clinton di quella legge liberticida e tirannica, scrisse in un articolo pubblicato sulla The New York Review of Books una considerazione che vale la pena ricordare; «siamo creature che raccontano storie», scrisse, «la nostra specie avrebbero dovuto chiamarla homo narrator».

C’è poco da fare: se questa definizione è vera, allora la difesa del copyright a cui stiamo assistendo negli ultimi 200 anni non soltanto sarebbe anti costituzionale, ma suonerebbe anche come contraria alla natura umana. Se infatti la nostra specie è divenuta tale grazie all’istinto del racconto e della condivisione del sapere, allora qualsiasi tentativo di rinchiudere questo sapere dentro gabbie che proteggono l’interesse e la ricchezza di pochi individui contro il benessere e il futuro dell’Umanità è un atto innaturale.

 

Un atto che, come scrive un altro lucido analista di questi temi, il professor Henry Jenkins, nel suo libro “Cultura convergente”, non serve «per garantire incentivi economici a singoli artisti, ma al fine di proteggere gli enormi investimenti che le aziende mediatiche hanno riversato su prodotti di intrattenimento a marchio registrato; non per una tutela del diritto d’autore a durata limitata, in modo tale da garantire la libera circolazione delle idee quando siano ancora utili al bene comune, ma perché il copyright sia una tutela eterna; non per l’ideale della comunione culturale, ma per quello della proprietà intellettuale».

Ogni epoca ha la sua battaglia di civiltà, insomma, e la nostra a questo punto sembra proprio essere quella sul copyright e sulla libertà culturale dell’essere umano. È una battaglia che l’invenzione di Internet di qualche decennio fa sembrava aver messo sulla strada giusta, quella della libertà, della condivisione, dell’anonimato, ma che negli ultimi anni è stata deviata su un binario morto, quello su cui abbiamo sacrificato la net neutrality, l’open source e il copyleft, ovvero i cardini dell’Internet libero creato da Timothy Bernard-Lee, che sognava una rete mondiale gratis, aperta e neutrale. Sarà una battaglia lunga e complicata, ma dobbiamo metterci in testa che perderla significherà sigillare la nostra cultura in una cassa da morto d’oro che non avrà frutti, che non si moltiplicherà, che finirà in sé stessa e affonderà nell’oblio insieme a tutti noi.

 


9 risposte a "vittoria in Europa contro il diritto d’editore – 237"

  1. Ancora una volta è necessario difendersi dal potere cHe, come sempre, si vuol perpetuare ed ampliare contro l’interesse collettivo.

    Ove si dimostra anche che la libertà senza controllo è pericolosa, internet subirà sicuramente altri tentativi di filtraggio visto che è stato una delle cause degli sconvolgimenti politici di questi ultimi tempi e che conserva pericolosamente memoria .

    Quando mai l’informazione non è stata modo di controllo, di manipolazione dei fatti e di fake news colossali del potere?
    Oggi le fake news della rete sono enfatizzate per lasciare campo libero a quelle del potere.
    Questa polemica a sua volta è strumentale ai tentativi di stroncare la libera espressione con filtri dall’alto.

    Molto utile la tua presa di posizione … dai media ufficiali il tema è trattato in modo assolutamente non chiaro … sarà voluto?

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    1. ma certo che è voluto! – domanda sorprendentemente ingenua, o forse retorica…

      è il loro potere di condizionamento che è in pericolo! e se la stampa e gli altri media non riescono più a essere lo strumento principale di condizionamento dell’opinione pubblica, rischiano un rapido tramonto.

      dice niente che oramai si siano ridotti a mettere a pagamento una parte importante dei loro commenti e delle loro cosiddette notizie?

      segno di una partita già persa: perché solo gruppi ristretti sono disposti a pagare per farsi fare il lavaggio del cervello, per giunta!

      dove divergo nell’analisi da te, decisamente, è nel modo ottimistico con cui sottotraccia mi pare che tu guardi a questo processo, come se potessimo davvero pensare che i Trump o i Salvini oppure i brexiter, o anche Grillo, che hanno usato la rete come canale alternativo per affermarsi (ma il primo era stato Obama), potessero davvero essere visti come un’alternativa di potere.

      a me pare evidente che sono soltanto una variante interna in una lotta tra ali diverse dei soliti poteri, e forse sono l’ultima spiaggia del sistema per cercare di recuperare consenso con proclami politici populisti, seguiti da gesti simbolici e azioni in apparenza maldestre che aumentano in realtà il disagio sociale che dicono di voler combattere.

      la campagna mondiale sull’immigrazione, scatenata con sincronismo perfetto anche in paesi per nulla toccati dal fenomeno, ha tutta la chiara evidenza di una massiccia arma di distrazione di massa dal nucleo vero del problema economico-sociale odierno, che è la distruzione della classe media, l’impoverimento complessivo della popolazione, la riduzione alla fame dei poveri e l’avanzante inutilità residuale di una parte molto importante della forza lavoro dequalificata.

      guarda caso, è solo adesso che l’immigrazione diventa un problema, dato che il progetto silenzioso delle elites è quello della riduzione della popolazione e il terzo mondo è la sede ideale per stermini di massa, censurati dai media, come quelli in atto nello Yemen o in alcuni paesi dell’Africa.

      ci si inventa Al Qaida, lo si crea dal nulla e lo si sostiene, ed ecco il via libera silenzioso a guerre risanatrici, igiene del mondo.

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      1. Il problema veramente è del tutto economico, il “controllo delle menti” (ma si controllano solo le menti che vogliono farsi controllare) lo realizzano in modo assai migliore Facebook e Google con le loro bolle di filtri.

        Giacché si parla di Google e Facebook, per altro, mi permetto di far notare che è da quando queste forze “verticali” si sono imposte su un mondo, come la Rete, che nonostante tutto restava “orizzontale”, che si è cominciato a parlare di leggi come questa…

        Articolo bellissimo, ma quando citi Propp, Gould e Jenkins, con me hai vita facile…

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        1. ovviamente quell’articolo molto bello non l’ho scritto io.

          vedo due temi nel tuo commento, che meritano un approfondimento, credo.

          leggi come questa sono volute da Google e Facebook? credo proprio di no, in particolare per quel che riguarda facebook, dato che pone a loro carico degli oneri di controllo che rifiuterebbero volentieri.

          (a proposito quanti sanno che, pubblicando su Facebook o su un blog, si cedono i diritti di copyright alle piattaforme che ospitano?).

          quanto a google, ha acquistato Youtube nel 2006 e leggi come questa sono colpi mortali a piattaforme comne questa.

          piuttosto c’è da vedere nella proposta di direttiva del tedesco Oettinger, secondo me, la velleità un poco teutonica di fare la guerra alle grandi aziende in formatiche americane, ma con strumenti come dire? da corazzata prima guerra mondiale quando sono già stati inventati i siluri.

          grottesco poi che il Parlamento Europeo si muova per imporre filtri in internet a tutela degli interessi economici dei copyrighter, quando non ha fatto nessuna battaglia seria per imporre filtri contro l’istigazione al razzismo.

          – il secondo tema è ancora più importante: tu dici che solo le menti che vogliono farsi controllare sono effettivamente controllate.

          dissento decisamente da questo ottimismo para-illuministico e, se servisse, posso portarti decenni di testimonianze autobigrafiche su come io sia stato bellamente condizionato nonostante ogni mia disperata velleità contraria, come mi rendo conto a posteriori, ovviamente.

          anzi, credo che dobbiamo abituarci all’idea di essere comunque sotto controllo anche quando recitiamo la parte del ribelle, e anzi forse ancora più facilmente per questo.

          le tecniche di manipolazione mentale sono ben più sofisticate delle nostre povere autodifese.

          questo può indurci ad un sano scetticismo su noi stessi: nessun uomo è libero se è vero quel che diceva Donne che nessun uono è un’isola.

          poi certamente ci sono menti (le più) che anelano a farsi controllare perché non sanno vivere fuori del gregge, e questo aiuta molto i pastori.

          e certamente hai ragione quando dici che i filtri semi-automatici di google e e facebook sono oramai ben più efficaci della vetusta stampa nei condiziomenti delle opinioni.

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          1. Lo so:-).

            Non ho mica detto che questa legge l’hanno voluta Google e Facebook, ho detto che come controllo hanno assai più potere dei giornali (che poi è quello che dici anche tu); e riguardo il controllo delle menti, non intendevo certo che uno dica: sì, ti prego controllami; ma che, magari per pigrizia, non oppone alcuna difesa a questo controllo.

            Le discussioni con te sono sempre stimolanti:-).

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            1. è un piacere ricambiare autenticamente l’osservazione.

              ho inteso male il secondo capoverso del tuo commento, e quindi vedo che, piccoli fraintendimenti a parte, nella sostanza siamo d’accordo.

              qui mi piacerebbe buttare sul tavolo un approfondimento possibile, per avere qualche tua riflessione.

              google e facebook rappresentano una centralizzazione dell’informazione rispetto al pluralismo della carta stampata con le sue (pur sempre relative) differenze di opinione?

              dal punto di vista economico certamente sì: sono dei monopoli traversali decisamente più potenti dei singoli stati, direi perfino di quelli di dimensioni continentali.

              (ed è l’epica del mondo moderno la fulminea ascesa di queste nuove potenze nate dal nulla, che neppure Alessandro Magno, Cesare o Gengis Khan…).

              ma dall’altro lato può apparire il contrario, cioè che diano voce ad un pluralismo incredibile di soggetti, tutti apparentemente autonomi.

              notare invece la novità che potrebbe sfuggire: insomma, l’informazione si trasforma nella sua stessa natura profonda, e diventa non più trasmissione di notizie più o meno obiettive, ma una specie di sondaggio online permanente, dove ciascuno è libero – parrebbe – di dire la sua OPINIONE.

              errore, attraverso i loro algoritmi in realtà sono facebook e google che guidano le danze dell’opinione, e inoltre hanno realizzato il miracolo di togliere la fastidiosa realtà di mezzo.

              in nessun altro modo può essere descritta questa trasformazione, guardandola dall’alto e in trasparenza, se non come un impazzimento generale accortamente guidato dall’alto.

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  2. Ancora una volta è necessario difendersi dal potere cHe, come sempre, si vuol perpetuare ed ampliare contro l’interesse collettivo.

    Ove si dimostra anche che la libertà senza controllo è pericolosa, internet subirà sicuramente altri tentativi di filtraggio visto che è stato una delle cause degli sconvolgimenti politici di questi ultimi tempi e che conserva pericolosamente memoria .

    Quando mai l’informazione non è stata modo di controllo, di manipolazione dei fatti e di fake news colossali del potere?
    Oggi le fake news della rete sono enfatizzate per lasciare campo libero a quelle del potere.
    Questa polemica a sua volta è strumentale ai tentativi di stroncare la libera espressione con filtri dall’alto.

    Molto utile la tua presa di posizione … dai media ufficiali il tema è trattato in modo assolutamente non chiaro … sarà volutamente?

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