è arrivata la cicogna a Faro, Algarve [Portugal 2.15] – 199

la partenza da Evora, giovedì 18, ha già il sapore amarognolo di un primo passo verso il rientro che, mai come questa volta, sento come troppo anticipato: questo mio giro in Portogallo mi appare un mordi e fuggi che poco si adatta allo spirito del viaggiatore, e ad Evora mi sarei fermato volentieri in giorno in più, anche senza fare nulla di speciale, solo passeggiare per le sue vie così discrete da parere fuori dal tempo.

arrivare alla stazione ferroviaria, solo un poco più lontana dal centro di quella degli autobus, e comunque nella stessa zona, non è né lungo né difficile, e mi sono preso un piccolo anticipo sull’orario del treno, cosa che mi regala un nuovo economico, ma squisito, dolcetto portoghese come colazione.

ma quando il treno parte, una prima parte del percorso si svolge in una incredibile nebbia, direi quasi padana.

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e neppure il levarsi del sole sulla pianura arida e piena di olivi riesce a dissolverla del tutto.

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nel tragitto sorgono certamente altre impressioni e sensazioni, che tuttavia vengono dimenticate: mi viene la tentazione di aprire il netbook e cominciare a scriverle, ma mi trattiene una specie di pudore: ancora più folle sarebbe dettarle al cellulare e registrare una specie di commento parlato al viaggio, mentre si svolge: ma perché comportamenti simili sarebbero considerati poco meno che folli, quando nell’Ottocento era normale per gli scrittori girare con taccuino e penna per non disperdere le idee?

la risposta ce l’ho a portata di mano: perché io non sono uno scrittore; si potrebbe accettare che io parlassi quasi dal solo ad una segreteria virtuale oppure che digitassi tra gli sballonzoli sui binari se almeno questo servisse a PUBBLICARE dei libri, cioè al mercato, a vendere o guadagnare; ma come comportamento fine a se stesso, no, sarebbe soltanto un sintomo clinico.

già; la famosa sindrome dello scrittore mancato, che si sente un grande, ma lo è soltanto per se stesso, e verrà dimenticato.

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come che sia, si sbarca intanto ad una stazione intermedia, dove si dovrà aspettare quasi per un’ora la coincidenza; non mi sono preoccupato di capire dove fosse, prima di partire, anche se in treno, sulla guida, ho cercato di ricostruire un possibile percorso ferroviario, sempre convinto che stessimo andando verso sud; ma adesso naturalmente mi guardo intorno.

la stazione è molto moderna e spaziosa, piena di gente; intanto noto qualcosa di un po’ strano: come mai sono esposti i percorsi del metrò di Lisbona?

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ma perché sono nel metrò di Lisbona! soltanto a un paio di fermate da Setubal! sono tornato indietro, per raggiungere la linea che dalla capitale porta all’Algarve.

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ed ecco il treno, pienissimo di turisti pasquali: forse trovare un posto è stato un colpo di fortuna.

comunque mi appisolo: ho ancora un paio d’ore e quando arrivo a Faro la fame si fa sentire: ecco un ristorantaccio a due passi dalla stazione, dove comunque non si mangia male affatto, una insalatona piena di tutto; peccato soltanto che ho scelto un tavolo all’aperto e il vento freddo mi spazzola per bene il maglioncino leggero (giubbone rimasto in valigia, ma non è il caso di aprirla, adesso).

ed adesso le solite peripezie, nei vicoli storici, del mio senso di orientamento palesemente oramai un poco appannato dall’età: il primo impatto con la città è comunque molto piacevole, e per entrare nel centro dalla stazione si costeggia il porto, coloratissimo e pieno di sole, al provvisorio momento.

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l’ostello appartiene alla categoria di quelli sbrigativi e freddi, non siamo ad Evora, ed anche la sistemazione è un poco patetica (la foto c’è, ma la risparmio); si aggiunge un battibecco sgradevole, perché risulta che avevo prenotato fin dalla notte prima e io lo nego ostinatamente, ma mi devo arrendere all’evidenza della mail e pagare una notte in più: giusto compenso statistico ai lussi immeritati del Namasté Hostel (solo che avrei preferito pagare di più loro..).

non me la prendo: devo stare più attento, tutto qui (certo, ne sto accumulando di errori in questo viaggio, per non dire dell’eterno gioco del coperchio della fotocamera, perduto e ritrovato, o a volte persino riconsegnato da altri, infinite volte, fino all’ultimo giorno, in cui lui ha preferito restare in Portogallo, come del resto avrei voluto fare io…).

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ed ora esploriamo, piuttosto, questa cittadina che, come altre di questa parte del Portogallo, non stava sul mare aperto, ma preferiva starsene un poco nascosta, dietro le isole delle lagune: eredità di mondi di pirati di opposte civiltà che si saccheggiavano volentieri a vicenda: e poi noi andiamo orgogliosi della storia!

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ma la vera attrazione di Faro non è il suo passato diviso tra arabi e cristiani, né le mura che nel centro storico racchiudono un nucleo ancora più piccolo e fortificato.

ma è chi su quelle mura ha deciso di porre la sua dimora, e sono le cicogne:

scoprirò ben presto che i nidi di cicogna si trovano sparsi un po’ dovunque, perfino sui pali della luce, ma poi anche sui tetti delle chiese o dei palazzi: se ne stanno occhiute, si muovono lentamente, sembrano concentrate nella cura di piccoli invisibili o delle uova; ma a tratti ecco che una spicca il volo ad ali aperte, con tutta la solennità di chi sa di essere carico di un forte significato simbolico e di mitologie infantili (mai riuscito a cogliere uno di questi voli con l’obiettivo, comunque…).

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qui è preziosa la Lonely Planet, che rivela che, salendo per una scaletta nascosta dell’Info Point turistico, si arriva a vederne un paio molto da vicino nel nido, che evidentemente esiste da anni: e ora salto tutte le altre foto preliminari per mettere solo questa, che documenta in maniera indiscutibile il mio a tu per tu con la cicogna… (e la foto non è fatta col teleobiettivo, ma a un solo metro di distanza).

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ce ne sarebbero di cose da chiederle, disseppellendo qualche storia del mio personale lessico familiare; ad esempio, perché fosti tanto crudele, o cicogna, da far fare a mia cugina Annamaria chilometri e chilometri a piedi per venirti a trovare in ospedale dove tu mi avevi portato (pare che allora le cicogne facessero i nidi di frequente sopra i reparti maternità)? lo sai che le si sfondarono perfino le scarpe?

e, domanda ancora più inopportuna: se tu sei l’uccello che si occupa di portarci alla vita, qual’è l’altro che ci porta via? ah, l’avvoltoio, certo; ma allora perché un pochino vi assomigliate voi due, ma, nonostante tutta questa somiglianza così stretta, tanto tu sei attraente, tanto è ributtante lui?

ma la cicogna mi guarda in un modo che dice chiaramente che non ha tempo da perdere con le domande stupide, ed io ridiscendo…

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il tempo si va facendo fosco, e c’è aria di temporale: ancora più impressionante visto dall’alto del campanile dell’unica chiesa visitabile in centro al momento un po’ tardo del pomeriggio:

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giusto lo stimolo che ci voleva per andare ad un’altra chiesa cimitero dei francescani, un po’ decentrata, visto che mi sono perso la simile cappella di Evora: qui pare che fosse finito lo spazio per le sepolture dei frati, e quindi i loro teschi autentici vennero usati semplicemente come elemento decorativo, per una specie di macabra tappezzeria.

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il momento giusto per introdurre qualche annotazione sull’antica cultura portoghese e sulla sua arte, ma mi è già capitato di parlarne durante il mio giro del mondo di sei anni fa: stranamente infatti il mio primo contatto con l’arte sacra portoghese avvenne a Macau; potrei accontentarmi di un link,
https://maurobort48.wordpress.com/2018/05/25/macau-e-dintorni-my-roundtheworld-24-1a-parte-221/
ma quel post è così lungo e vario negli argomenti che ci si rischia di perdersi, e dunque ecco un estratto essenziale:

Un piccolo prezioso museo ricavato in un convento, mi pare gesuita, dà una rassegna del misticismo seicentesco, molto caricata emotivamente e resa a tratti quasi espressionistica:
il gesuitismo anche in Cina fu l’espressione massima della presenza cattolica e troverei questo misticismo anche molto poco gesuita, se fosse il caso di abbandonarsi a queste sottigliezze;
ma nel gesuitismo c’è stata una visione della religione di carattere razionale più che emozionale, ma meglio si dovrebbe dire una religione che sapeva fare un uso molto razionale del devozionale.
e` il Tesoro d’Arte Sacra, annesso alla chiesa di san Domenico (almeno, suppongo adesso, controllando la guida).
che io abbia iniziato la visita di Macau quasi da questa raccolta d’arte cosi` poco cinese potra` parere bizzarro […]. pero` mi pare di avere azzeccato, proprio con questa rassegna di temi tipici della religiosita` portoghese, il tratto piu` tipico di questa citta` fuori degli schemi. […]
ecco, questo museo e` il luogo nel quale ho potuto immaginare come possiamo sembrare curiosi e perfino un poco perversi nella nostra religiosita` agli occhi di una cultura diversa dalla nostra.

e, per un confronto, ecco un altro esempio, preso da questa stessa chiesa, di questo sentimentalismo religioso rugiadoso che non impediva colonizzazione né saccheggi né arroganti tentativi missionari di conversione di culture considerate inferiori alla propria, e preda dell’errore.

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