che cosa ci dicono gli azulejos di Lisbona sulla antica potenza dei conventi portoghesi [Portugal 2.8] – 185

confesso che l’idea di dedicarmi ad un Museo Nazionale degli Azulejos a Lisbona non mi entusiasma al primo colpo e infatti nel primo viaggio dell’anno scorso avevo dedicato ad altro il mio tempo a disposizione nella città, peraltro piuttosto breve.

questa volta mi ha convinto un amico, peraltro uno dei numerosi entusiasti della città fino al fanatismo e pare proprio che chiunque ci sia stato rientri alla fine in questa categoria, a parte il sottoscritto.

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ci arrivo alla fine di una sgambata curiosa lungo la riva orientale del Tago che gradualmente piega verso nord, e curiosando qua e la lungo il percorso e, prima, anche in un convento minore, ora adibito a residenza universitaria: perché il Museo degli Azulejos è ospitato appunto in uno dei grandiosi conventi di Lisbona, e il suo nome attuale non rende giustizia alla sua storia: io sono per l’antico nome autentico, cioè Convento della Madre de Deus.

fu fondato nel 1509 dalla Regina Dona Leonor e restaurato nella prima metà del Settecento, quindi precede il terremoto del 1755 e gli è sopravvissuto, e la sua nascita si colloca proprio nel cuore di quel periodo eroico portoghese delle grandi esplorazioni e delle conquiste americane che ne fecero la debordante ricchezza.

niente di tutto questo traspare dalla facciata asciutta e dall’ingresso modesto e quasi banale:

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nelle prime spoglie sale sono collocati alcuni resti più antichi che vedono la nascita di questo tipo di arte che noi oggi consideriamo tipicamente portoghese: ma prima di essere tale, l’azulejo nacque come forma d’arte araba, e lo dice il suo nome stesso, che deriva non dall’assonanza con azzurro, come siamo portati a pensare noi, ma dalla parola araba الزليج, al zulayj’, che significa “pietra levigata”, anche se azzurro in portoghese si dice azul, e dunque l’assonanza dei significati risale alla lingua originaria.

ma i primi esempi di azulejos in Portogallo non sono affatto azzurri, ma policromi, e riproducono su pietra motivi geometrici e decorativi tipici anche dei tappeti arabi, e sono assenti ovviamente rappresentazioni figurative umane, stante il divieto coranico.

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ma da qui si sviluppa una storia molto interessante di influssi culturali e di fusione di culture: le maioliche azzurre erano tipicamente italiane così come la tecnica per produrre questo materiale, e l’influsso italiano è ben evidente nella prima opera che sconvolge completamente gli usi artistici sino a quel momento, e rappresenta in forma monumentale e solenne una natività sovrastata da una annunciazione dallo stile tipicamente rinascimentale:

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dall’imitazione dell’Italia, non poi così presente in Portogallo che piuttosto la deriva attraverso la mediazione fiamminga, deriva poi tutta la ricchissima produzione successiva di azulejos, effettivamente azzurri, come le nostre ceramiche dell’epoda, che qui diventano diffusissimi in ogni contesto, religioso e civile, e perfino decorano le facciate della case anche più ordinarie: tradizione che continua fino ad oggi e perfino nelle bancherelle per i turisti che propongono a poco prezzo piccole mattonelle decorate in azzurro.

e subito dopo il genere si svincola anche dai temi sacri e adotta anche la rappresentazione di momenti di vita profana, come in questo antico azulejo dedicato alla navigazione e alle conquiste:

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ma non penserete che voglia farvi tutta una storia di questo tipo di produzione artistica, che da allora in poi resta affidata spesso ad artigiani senza una precisa formazione accademica, e dunque è un esempio di arte popolare, che tuttavia segue l’evoluzione complessiva degli stili e dei temi preferiti nelle varie epoche.

mi limito a due ultimi esempi, per motivi molto diversi: il primo è l’enorme e interessantissimo pannello che conclude la visita nel piano più alto del convento con la rappresentazione particolareggiatissima di Lisbona prima del terremoto.

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la seconda immagine ci porta invece nei meandri melmosi della psicologia umana, provenendo da un convento: è una figura tentatrice immonda in cui si mescolano i tratti femminili e quelli maschili del satiro animalesca incarnazione del diavolo nella fantasia malata di qualche frate:  essere umano barbuto con orecchi, corna, coda e zampe caprine e qui perfino di sesso incerto; non ho rinunciato a farla circolare via whatsapp e meriterebbe di essere più nota.

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ma non è quello che ho illustrato sinora che rende così interessante ed istruttiva questa visita, per quanto già meriti di per sé.

la parte più straordinaria sta nel cuore antico del convento, nel chiostrino elegante…

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… ma soprattutto nella cappella e nella sala capitolare:

che sono interamente rivestite d’oro.

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tale era la potenza degli ordini religiosi portoghesi in quei secoli: per questo si rapivano a milioni uomini dall’Africa per trasportarli in Brasile al servizio di questa ostentazione di ricchezza sfacciata e cafona che oggi noi chiamiamo indistintamente arte.

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tocca alla parola arte lo stesso destino che alla parola amore, altrettanto ambigua a rivestire di ipocrisia impulsi affettivi profondamente diversi.

e noi definiamo arte sia il messaggio che ci manda l’uomo che si interroga sul senso della vita o anche soltanto della sua vita e sconvolge le nostre certezze o esprime le nostre paure, quanto il cortigiano sfacciato ed avido che ha semplicemente messo le sue capacità tecniche al servizio dell’adulazione dei potenti per prendere parte al loro lusso disumano costruito sulle lacrime degli oppressi e degli sfruttati.

 

 

 

 


4 risposte a "che cosa ci dicono gli azulejos di Lisbona sulla antica potenza dei conventi portoghesi [Portugal 2.8] – 185"

  1. Se devo essere sincero, mi sfugge completamente il senso di affidare agli azulejos (che ho conosciuto in Andalusia) una rappresentazione figurativa: la particolarità di quest’arte è infatti, secondo me, quella di essere modulare, con un disegno di base che può essere ripetuto e sottoposto a rotazioni, riflessioni eccetera.

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    1. la tua domanda è molto acuta, e quindi spiazzante, ma sono così presuntuoso da cercare di risponderle lo stesso e nello stesso così consapevole da pensare che la mia sarà solo una affermazione discutibile.

      credo che per capire il passaggio dall’azulejo geometrico a quello figurativo dobbiamo metterci nei panni del primo che lo fece, dato che tutti gli altri che vennero dopo agirono semplicemente per imitazione, visto che la cosa era piaciuta e aveva avuto successo.

      secondo me, consapevolmente oppure no, questa svolta ebbe parecchio a che fare con la reconquista e con la fine del dominio arabo che vietava la figura umana: nel raffigurare gli esseri umani anche negli azulejos, che dopotutto erano stati una innovazione araba, c’era la forte voglia di differenziarsi e di rivendicare una civiltà diversa, dove il corpo rappresentato non era più proibito: una vera e propria rivoluzione culturale.

      poi divenne abitudine e usanza locale caratteristica…

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      1. Ma continua a sfuggirmene il senso: perché rappresentare una natività su una piastrella, invece che su una tavola? Certo c’entrerà il discorso di (credo anche violenta, in un certo senso) violenta appropriazione di un prodotto culturale altrui (che è qualcosa che i vincitori fanno sempre), ma lo trovo comunque poco sensato.

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        1. be’, occorre aggiungere – lo avevo in mente, ma l’ho lasciato nella penna – che noi, quando intendiamo seriale, pensiamo all’oggetto fatto a macchina, ma in quel mondo era pur sempre fatto a mano: anche le piastrelle geometriche coi loro disegni in apparenza tutti uguali erano in realtà fatti da un artigiano che doveva anzi sforzarsi perché sembrassero tutti uguali.

          quindi passare a dipingere motivi figurativi su quelle stesse piastrelle non era tecnicamente per niente diverso dal dipingervi motivi geometrici e questo rende il passaggio più comprensibile.

          se poi c’era già l’abitudine di decorare interni ed esterni delle case con queste piastrelle, continuare a farlo, ma con elementi figurativi, era una specie di manifesto non dico politico, ma religioso-culturale; una orgogliosa dichiarazione di appartenenza.

          più di così non so spingermi, e se il dubbio rimane aperto sono contento lo stesso: certo, le date coincidono, comunque, e sembrerebbero confermare che questa componente c’era.

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