CO2 e Carbfix: una buona notizia di basalto – 295

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finalmente una bellissima notizia da dare.
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anche per smentire che io ami quelle brutte, che riempiono il mio blog.
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ma non per scelta mia (protesto contro questa impressione…): non ho nessuna responsabilita` diretta nella scelta delle notizie brutte…
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aggiungete che una novita` cosi` bella non ho avuto eco sulla grande stampa, ma soltanto sulle Scienze,
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periodico importante, ma un poco di nicchia.
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vorrei dire che leggerla qui ha il sapore di un’anteprima,
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se non mi scappasse da ridere, perche` sarebbe quasi come dire che il mio blog non e`di nicchia.   🙂 🙂 🙂
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ci spostiamo in Islanda, alla centrale geotermoelettrica di Hellisheiði, la quarta al mondo per capacita` installata secondo Le Scienze, la terza secondo wikipedia.
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qui dal 2012 un gruppo internazionale di istituti di ricerca e aziende sta realizzando il progetto pilota Carbfix, cioe` sta cercando un modo di fissare nel sottosuolo le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle centrali termoelettriche.
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e ci e` riuscito.
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addirittura per mezzo di reazioni chimiche spontanee che si innescano quando l’anidride carbonica entra in contatto con il basalto, una roccia scura di origine vulcanica:
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in presenza di acqua, il gas precipita formando un minerale biancastro.
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bastano addirittura meno di due anni soltanto perche` le emissioni di anidride carbonica prodotte dalle centrali termoelettriche, iniettate nel sottosuolo, si trasformino in roccia.
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In Islanda la CO2 iniettata nel suolo diventa roccia
una ricercatrice mostra un campione di carotaggio: le venature bianche sono formate dalla precipitazione dell’anidride carbonica
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Tra il 2012 e il 2013 la centrale ha iniettato nel sottosuolo 250 tonnellate di acqua con andride carbonica e acido solfidrico disciolti, a una profondità compresa tra i 400 e gli 800 metri.
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Già nel 2014 molto del carbonio era mineralizzato in appena pochi mesi.
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Carbfix rappresenta davvero il sistema definitivo di stoccaggio permanente dell’anidride carbonica nella roccia, come sostengono i suoi scopritori?
quali sviluppi concreti potrebbe avere la scoperta?
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e` davvero applicabile sulla larga scala, al difuori delle particolari condizioni dell’Islanda?
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il basalto è la principale componente della crosta oceanica e rappresenta circa il 10 percento delle rocce continentali.
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e` di origine vulcanica e proviene da un magma solidificatosi velocemente a contatto dell’aria o dell’acqua.
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questo fa capire subito che non e` distribuito in maniera omogenea sulla crosta terrestre, ma dipende dalle grandi eruzioni del passato:
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lo troviamo nei plateau di origine vulcanica del Deccan in India, del Paraná in Brasile, dell’Oregon negli Stati Uniti e in altri grandi accumuli locali, come in Islanda, appunto, in Sudafrica e nelle isole Hawaii.
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questo potrebbe essere un ostacolo alla diffusione universale di questa tecnologia?
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una seconda difficolta` e` legata al fatto che la tecnologia richiede grandi volumi di acqua – circa 25 tonnellate per ogni tonnellata di CO2 – oltre alle infrastrutture di iniezione e di separazione dei gas.
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ma ogni anno, vengono scaricati in atmosfera circa 35 miliardi di tonnellate di CO2,
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con una tendenza all’aumento.
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non tutta questa anidride carbonica  e` prodotta dalle centrali o dalle industrie, come si pensa comunemente, anzi solo una quota abbastanza piccola:
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la quota principale e` creata, ad esempio, dalla respirazione degli esseri viventi, tra cui gli uomini stessi e gli animali di allevamento, o dagli autoveicoli a motore.
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anche ammettendo di intervenire sul 10% di questa produzione, cioe` di stoccare soltanto 3 miliardi e mezzo di CO2 l’anno, servirebbero piu` di 800 miliardi di tonnellate di acqua l’anno.
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e che fare se le rocce basaltiche si trovano, a differenza che in Islanda, in zone del pianeta povere di acqua?
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potrebbe essere usata l’acqua degli oceani?
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e va da se`, naturalmente, che una riduzione del 10% delle emissioni di anidride carbonica sarebbe insufficiente a fermare il riscaldamento globale.
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e i costi?
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L’operazione di cattura e stoccaggio costa a Hellisheiði 30 dollari per tonnellata ma altrove potrebbe lievitare fino a 130 dollari.
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qualche autorita`politica sara` in grado di imporre alle aziende questo aggravio di costi?
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oppure trattati come il TTIP consentiranno alle aziende di citare in giudizio gli stati che si azzardassero a farlo, intaccando i loro profitti?
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a marzo era la stessa rivista che riferiva del fallimento di un progetto simile americano: 
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L’azienda Mississippi Power sta costruendo la centrale a «carbone pulito» di Kemper, che dovrà generare elettricità dalla forma più sporca di carbone e catturare le relative emissioni di CO2 invece di scaricarle nell’aria.
La centrale venderà CO2 a un’azienda che la pomperà in campi petroliferi in via di esaurimento per forzare l’uscita di petrolio; un terzo della CO2 impiegata dovrebbe restare sottoterra.
I costi di Kemper e dei pochi impianti analoghi sono assai elevati, sollevando dubbi sulla sostenibilità economica di questo approccio.
A oggi in tutto il mondo sono stati chiusi o cancellati 33 progetti di cattura e stoccaggio del carbonio.
Se non si riuscirà a catturare il carbonio in modo efficace e a un costo accettabile, i paesi che si sono impegnati a tagliare le proprie emissioni nei recenti colloqui di Parigi sul clima non saranno in grado di mantenere le promesse.
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insomma, la notizia va ridimensionata.
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va soprattutto sottratta all’illusione scientista che la ricerca sia sempre in grado di dare una risposta ai problemi che lo sviluppo crea.
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e tuttavia questa resta una piccola buona notizia.
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in mancanza di altre buone grandi notizie, valorizziamola.

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