il breve montaggio video che segue non ha molto a che fare con la fotografia, ma piuttosto con la religione, o meglio con la radice ineliminabile della religione che è la superstizione, come la chiamava Lucrezio.
guardo le 92 fotografie raccolte in questo piccolo delirio mentale e mi rendo conto che la mia mente era andata in rovina esattamente come era successo a quest’altro monumento immenso dell’impero khmer, Beng Mealea, che qui diventa il simbolo stesso dell’inutilità di ogni successo umano, individuale o collettivo.
allora non ci avrei pensato, ma il caos senza nome che ha avvolto queste rovine è una anticipazione potente del destino che attende la nostra civiltà, quando le temperature elevate trasformeranno tutto il nostro pianeta in una giungla o in un deserto.
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è una paura oscura quella che ti stringe al cuore: qui non siamo in una dialettica potente tra l’uomo, rappresentato dalle sue immani architetture, e la natura, come a Ta Promh, dove comunque la natura vinceva, ma ci troviamo di fronte allo spettacolo angosciante di un semplice collasso, di una resa senza condizioni.
non avevo ancora visto Hiroshima, dieci anni fa, ma questo spettacolo è ben più terribile, e a maggior ragione perché non ha nessun colpevole e le sue vittime sono invisibili.
tutto è come esploso o imploso per qualche invincibile forza sconosciuta, tutto è sconvolto, dissestato, stravolto in grovigli senza nome, in ammassi senza ordine, da cui emerge soltanto qualche rado frammento.
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e io vagavo lì dentro – me ne rendo conto adesso – semplicemente cliccando nevrastenicamente con la fotocamera, come se ogni clic mi servisse a ribadire io ci sono, però.
senza criterio, senza un filo conduttore, senza un senso che non fosse la semplice voglia di marcare l’esistenza, ancora, per il momento.
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il secondo videoclip conclude la visita di Beng Mealea e la giornata del 22 maggio: non descrive un momento successivo, ma guarda a quella visita dal punto di vista degli incontri fatti: la mia guida locale, turisti diversi, un cambogiano che dorme su un albero, due ragazzini che adorano farsi fotografare (e fra tutti anche io, naturalmente, che sono ripreso a mia volta, sulla mia fotocamera, dall’uno o l’altro di loro: mai fatto un selfie in vita mia, o quasi, e in ogni caso mi guarderei bene dal renderlo pubblico per non spaventare nessuno…
il sorriso dei cambogiani potrebbe essere considerato uno dei temi di queste immagini.